La preghiera: dall’incontro alla comunione
Ci appartiene, ma al tempo stesso possiede un significato universale perché va oltre il nostro io superficiale e limitato. Un tale incontro è unico perché per Dio, così come per ciascuno di noi (se veramente apriamo gli occhi), ogni persona è unica e insostituibile. Ogni creatura conosce Dio a modo suo. Ciascuno di noi conosce Dio in un modo che nessuno potrà intuire se non saremo noi stessi a descriverlo. Contemporaneamente, però, essendo la natura umana universale, ogni incontro diviene esemplare. È una rivelazione fatta a tutti di ciò che ognuno conosce in modo personale. Un incontro è vero solo quando sono vere le persone che si incontrano. Da questo punto di vista, finiamo costantemente col contraffare l’incontro. Non solo in noi, ma nell’immagine stessa che abbiamo di Dio, ci è assai difficile essere autentici. Per tutto il giorno assumiamo una dopo l’altra una serie di “personalità sociali”, a volte irriconoscibili per chi ci sta innanzi o perfino ai nostri stessi occhi. Quando viene l’ora della preghiera e desideriamo presentarci a Dio, ci sentiamo spesso smarriti, perché non sappiamo quale di queste personalità sociali sia la verità della nostra persona; non siamo più capaci di distinguere la nostra autentica identità. Le diverse persone che presentiamo a Dio, una dopo l’altra, non sono noi stessi. C’è del nostro in ciascuna di esse, ma la persona nella sua globalità rimane assente. Ecco perché la preghiera, che pure sarebbe in grado di salire con forza dal cuore di una persona autentica, non trova la sua strada in mezzo al nugolo di marionette che offriamo a Dio. Ognuna di queste dice una parola che è vera nella sua parzialità, ma non esprime le altre personalità parziali che abbiamo assunto durante il giorno. Ritrovare la nostra unità, l’identità fondamentale, diventa oltremodo importante. Se ciò non accade, non possiamo incontrare il Signore nella verità (A. Bloom, {link_prodotto:id=337}, Qiqajon).
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