La legge di Cristo è la legge del “portare”
“Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete perfettamente la legge di Cristo” (Galati 6,2). Quindi la legge di Cristo è una legge del “portare”. Portare è sopportare. il fratello è un peso per il cristiano ..; solo in quanto è percepito come peso, l’altro è veramente fratello e non un oggetto da dominare. Il peso dell’uomo è stato così pesante anche per lo stesso Dio, che ha dovuto soccombervi sulla croce. Dio ha veramente sopportato gli uomini fino all’estrema sofferenza nel corpo di Gesù Cristo. E in tal modo li ha portati come una madre porta il bambino, come un pastore porta l’agnello che si era smarrito. Dio si è fatto carico degli uomini, ed essi lo hanno piegato sotto il loro peso, ma Dio è rimasto con loro ed essi con lui. Nel sopportare gli uomini dio ha stabilito una comunione con loro. È la legge di Cristo, compiuta sulla croce. a questa legge i cristiani hanno la possibilità di partecipare. Devono portare e sopportare il fratello il fratello , ma la cosa più importante è che ora possono portarlo nella obbedienza a una legge adempiuta da Gesù Cristo ... In primo luogo è la libertà dell’altro a esser di peso al cristiano. Essa va contro il suo desiderio di autocrazia, ma nonostante tutto il cristiano è costretto a riconoscerla. Potrebbe liberarsi di questo peso negando la libertà dell’altro, facendogli violenza, riducendolo a immagine di sé. Se invece egli riconosce nell’altro l’immagine di Dio, gli riconosce di conseguenza la libertà, e da parte sua porta il peso che per lui costituisce la libertà dell’altra creatura. Nella libertà dell’altro rientra tutto ciò che si intende per essenza, peculiarità, disposizioni, anche le debolezze e le stravaganze, che mettono alla prova così duramente la nostra pazienza, vi rientra tutto ciò che dà luogo agli attriti, ai contrasti, agli scontri fra me e l’altro. Portare il peso dell’altro qui significa sopportare la realtà creaturale dell’altro, consentire a essa e arrivare attraverso la sopportazione a trarne motivo di gioia ...
Alla libertà dell’altro si affianca anche l’abuso che se ne può fare nel peccato, altro motivo per cui il fratello risulta di peso al cristiano. È ancora più difficile sopportare il peccato dell’altro che non la sua libertà: nel peccato infatti si distrugge la comunione con Dio e con i fratelli. Qui il cristiano prova la sofferenza per l’infrangersi di quella comunione che si era creata con l’altro in Gesù Cristo. Ma solo qui si rivela pienamente la grandezza della grazia di Dio, anche nella sopportazione. Non disprezzare il peccatore, ma essere nelle possibilità di sopportarlo, significa in effetti non doverlo considerare perduto, ma poterlo prendere per quello che è, conservarci in comunione con lui nella remissione dei peccati: “Fratelli, anche se uno viene sorpreso in qualche fallo, correggetelo con spirito di dolcezza” (Galati 6,1). come Cristo ci ha portato e ci ha accolto nella nostra realtà di peccatori, così noi, finché restiamo in comunione con lui, possiamo portare e accogliere dei peccatori nella comunione di Gesù Cristo, grazie alla remissione dei peccati. Possiamo sopportare i peccati del fratello, senza bisogno di giudicarli. Questa è grazia per il cristiano; c’è forse un peccato nella comunità, a proposito del quale egli non debba esaminare se stesso e accusarsi per la propria infedeltà nella preghiera e nell’intercessione, per la propria mancanza nel servizio fraterno, nella correzione e consolazione fraterna, e ancor più per il proprio peccare individuale, per la propria mancanza di disciplina spirituale , che ha recato danno non solo a lui stesso, ma anche alla comunione e ai fratelli? Ogni peccato del singolo grava sulla comunità nella sua interezza e la espone al giudizio, e per questo la comunità, nonostante il dolore che le è inflitto dal peccato di ogni fratello, e nonostante il peso che in tal modo ricade su di essa, esprime il giubilo di essere stata ritenuta degna di portare e di rimettere i peccati: “Vedi, se tu li porti, anch’essi ti porteranno tutti e ogni cosa sarà comune, le buone e le cattive” (Martinn Lutero) (Dietrich Bonhoeffer, Vita comune, Queriniana, Brescia 2003, pp. 77-78)