Discorso di chiusura

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XXVIII Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa
S. ISACCO DI NINIVE
e il suo insegnamento spirituale

Monastero di Bose, 6-9 settembre 2022
in collaborazione con le Chiese ortodosse

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Discorso di chiusura di Sabino Chialà, priore di Bose

Cari fratelli e sorelle in Cristo,
metropoliti, vescovi, monaci e monache, amici e ospiti,

eccoci giunti al termine di questo ventottesimo Convegno Ecumenico Internazionale di Spiritualità Ortodossa, dedicato a: “S. Isacco di Ninive e il suo insegnamento spirituale”.

Sono stati giorni intensi, per varie ragioni. Perché si trattava di un incontro da lungo tempo atteso e restato incerto fin quasi all’ultimo. Per la complessità e l’incertezza, sotto vari aspetti, del contesto in cui abbiamo vissuto questi giorni.

La gioia di ritrovarci dopo tre anni di sospensione, e la ricchezza e varietà delle presenze ha reso questo incontro un momento davvero particolare. Credo di poter dire –avendo ascoltato diversi di voi – che anche la scelta della riduzione del numero dei partecipanti ha creato un’atmosfera di familiarità, benché alcune assenze dovute alla guerra in Ucraina ci hanno rattristato. A questo clima di familiarità hanno contribuito i gruppi di lettura che, per quanto mi è stato riferito, sono valutati positivamente da tutti.

Ma il merito maggiore di questa riuscita va attribuito alla guida eccezionale cui ci siamo affidati in questi quattro giorni di convegno: il “nostro” Isacco, che ha mostrato, ancora una volta, la sua capacità di infrangere barriere di ogni genere, mostrando la sua dirompente capacità di creare comunione. Un santo ecumenico, come ci ha ricordato brillantemente Sebastian Brock, e figlio di un’epoca non meno complessa della nostra, come abbiamo intuito dai cenni al contesto storico ed ecclesiastico in cui il suo pensiero è maturato, messi in luce da Paolo Bettiolo.

Così equipaggiati, abbiamo iniziato a viaggiare negli scritti di Isacco, seguendo alcuni fili del suo pensiero, tra i più rilevanti e suggestivi. Il vescovo Benedict Vesa ci ha invitati a riscoprire e riassaporare il tema dell’infinita misericordia di Dio per la creazione intera, che costituisce certamente il cuore pulsante dell’intero pensiero isacchiano. Un amore che l’uomo non ha il potere di avvilire, di spegnere, di annullare.

È ferma convinzione di Isacco che il nostro peccato non sarà mai più forte dell’amore di Dio. Potrà a volte costringerlo al silenzio, perché il Dio biblico rispetta la nostra libertà, ma non potrà mai distruggere né attenuare la veemenza di quell’amore infinito, di cui anche il giudizio ultimo è espressione.

La redenzione e la croce, di cui ci ha parlato p. Porphyrios Giorgi, ne sono un riflesso eloquente. Movente della croce è solo l’amore. Certo Dio avrebbe potuto salvarci altrimenti. Ma, per Isacco, non ha trovato un modo più eloquente per indicare quanto grande è il suo amore per l’umanità: ecco la ragione della croce! Ecco perché egli lascia che il Figlio soffra e muoia sulla croce: affinché colui che contempla tale mistero possa comprendere a che punto Dio ama la sua creatura e ne desidera la vita in pienezza.

Della croce, centrale nella liturgia della Chiesa siro-orientale ancora oggi, ci ha poi parlato il vescovo Mar Emmanuel Yosip. Quella croce che, nella nuova economia, è il luogo su cui riposa la Shekinah: la presenza di Dio, che un tempo dimorava nel tempio di Gerusalemme, riposa ora sul segno dell’amore del Padre manifestato sulla croce dal Figlio.

Maksim Kalilin ci ha condotto nella geografia interiore dell’essere umano, descritta dal Ninivita, e in quell’opera sinergica tra esteriore ed interiore che caratterizza il suo pensiero. Una visione che, in obbedienza alle Scritture, contesta radicalmente ogni visione dualistica che deprezza la creaturalità. Il corpo è a servizio del cuore e il cuore al servizio del corpo. L’esteriore coopera con quell’interiore che Isacco esplora con mirabile maestria, guidandoci alla scoperta dei sensi interiori.

In questa visione, il limite e la fragilità che caratterizzano la corporeità concorrono anch’essi al cammino spirituale. Lo ha messo in luce Valentina Duca, che ha attirato la nostra attenzione sulla grazia della debolezza cui spesso Isacco si riferisce. Un’affermazione che può sembrare insensata… almeno fino al momento in cui non ne facciamo personale esperienza! Per Isacco, proprio nella fragilità, se riconosciuta, la grazia agisce in modo mirabile e lascia un dono di benedizione. Egli dunque invita a riconoscerla senza paura, ad abitarla, a non coprirla sotto la menzogna della nostra presunta forza e perfezione.

Per questo abbiamo bisogno di umiltà… che per Isacco – come ci ha indicato Nestor Kavvadas – altro non è che adesione alla propria creaturalità. L’umiltà è riconciliazione con il proprio limite, accoglienza pacificata della propria finitudine. Umile non è colui che si disprezza, ma chi smette di fingere, chi non usurpa la divinità

che non gli appartiene. Umile è semplicemente l’uomo che vive riconciliato con la propria creaturalità, a immagine del Cristo che si fece umile facendosi uomo.

Brouria Bitton-Ashkelony ci ha guidato alla riscoperta di un altro dei temi centrali del pensiero di Isacco: il cammino della preghiera, che attraverso la fatica del corpo giunge alla gratuità di un dono che l’essere umano semplicemente accoglie, inondato dallo stupore. Questo culmine è ciò che il Ninivita chiama, con un’espressione ardita, la “non-preghiera”. Espressione in cui la negazione (non-) indica che lì non vi è più sforzo umano, ma puro dono. Come frutto delle fatiche della preghiera, necessarie e indispensabili, vi sono dunque lo stupore e la rivelazione, vale a dire l’intuizione per pura grazia del volto dell’Amato.

Segno visibile del dono dello Spirito durane la preghiera sono poi le lacrime, di cui ci ha parlato p. Agapie Corbou conducendoci attraverso la ricca riflessione di Isacco sul tema: dalle lacrime che scaturiscono nella coscienza di chi soffre per aver ferito l’amore, a quelle di gioia, che debordano da un corpo afono, incapace di dire altrimenti la pienezza di cui è pervaso.

Marcel Pirard ci ha quindi illustrato ciò che Isacco raccomanda come prioritario ai suoi fratelli solitari: una via di ascesi per la quale l’essere umano cerca di fare suoi i sentimenti di Dio, in particolare il suo amore per ogni creatura. La solitudine della cella mostra la sua autenticità non nello zelo amaro di chi si erge a giudice degli altri, poggiando sulla sua pretesa perfezione, ma in un cuore che intenerisce, divenendo compassionevole verso la creazione intera. Quella creazione che è segno della benevolenza di Dio, il primo libro che Dio ha offerto agli uomini, e che attende la redenzione finale, come ci ha indicato Pablo Argárate.

Infine, Chrysostomos Stamoulis ci ha riportati al tema dell’importanza del messaggio isacchiano per l’oggi. Il nostro oggi…

Più volte in questi giorni abbiamo sentito emergere la domanda sul perché del successo di Isacco. Un solitario che scrive o detta per dei solitari come può essere stato così contemporaneo a tante generazioni e contesti diversi, e come può ancora oggi essere così eloquente per noi e per il nostro mondo? Forse perché parla della sua esperienza reale. Forse perché evita qualsiasi artificio letterario. Forse perché il suo insegnamento è un atto di amore consapevole da parte sua, nei confronti quanti l’avrebbero letto, e che si sentono così ospitati nel grembo accogliente delle sue parole di vita… Credo che Isacco sarebbe d’accordo nel dire che eloquenti e sempre efficaci sono solo le parole che nascono dall’amore.

Certo è che abbiamo constatato la potenza di comunione che questo padre ha saputo generare nei secoli e che ancora una volta abbiamo visto all’opera tra noi. La composizione della nostra assemblea non è stata mai così ricca come quest’anno: insieme a vari rappresentati della Chiesa cattolica, le Chiese ortodosse, tre Chiese ortodosse orientali, la Chiesa Assira, le Chiese della Riforma e la Chiesa Anglicana. E poi ancora, giovani e meno giovani, come non mai… Isacco è stato capace non solo di attrarci qui, ma anche di aiutarci a scoprire quella fraternità che ci unisce nonostante le nostre divisioni.

Possiamo continuare a chiederci il perché dell’eloquenza della sua parola… Ma intanto non possiamo non vederne gli effetti su di noi, e constatare ancora una volta, con stupore, come queste parole dette da un solitario a dei solitari restino eloquenti per l’essere umano di ogni tempo, condizione e latitudine.

Per questo e per altro ancora, al termine dei nostri giorni di convegno, il sentimento che più ci abita è quello del rendimento di grazie, innanzitutto al Signore, nel nome del quale ci siamo riuniti.

Questo grazie va poi a voi tutti, che avete reso possibile il nostro incontro, ciascuno per la sua parte: i relatori, per la loro sapienza e passione nel renderci partecipi dei tesori scoperti lungo le loro ricerche; i rappresentanti delle Chiese che ci hanno fatto esperire la cattolicità della Chiesa di Cristo; i monaci e le monache; i più giovani ai quali affidiamo il compito di continuare a studiare e ad amare la sapienza di Isacco; e ciascuna e ciascuno…

Infine un grazie specialissimo va a chi ha facilitato la nostra mutua comprensione: gli interpreti che hanno lavorato duro, senza gettare la spugna. Un grazie particolare a Gavriil Pentzikis e a Giovanni Bonavia, che ci offrono i loro preziosissimo contributo ormai da un ventennio, divenendo parte irrinunciabile dei nostri convegni. E un grazie particolare a Daniela Codarin, che ci aiuta anch’essa da alcuni anni.

Insieme a loro, un grazie sentito ai tecnici della Pass Audovideo, a Luciano Panzica e i suoi collaboratori, che ci accompagnano da una quindicina d’anni, con disponibilità e professionalità encomiabili.

Speriamo di potervi offrire presto gli atti di queste giornate. Intanto pensiamo già al tema del prossimo convegno…

Ancora grazie a tutti e buon ritorno alle vostre case.