Sintesi dei lavori di venerdì 5 settembre 2014

XXII Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
BEATI I PACIFICI
Bose, 3-6 settembre 2014
in collaborazione con le Chiese Ortodosse

Ingresso di Geserusalemme Icona fine XVI sec Museo di Lhabavsk

SINTESI DEI LAVORI DI VENERDÌ 5 SETTEMBRE 2014

Nella terza mattinata del convegno è proseguita la presentazione dei “testimoni della pace”, focalizzandosi su quattro grandi figure della recente storia della chiesa, che hanno aperto cammini di pace e di riconciliazione contribuendo ad abbattere i muri della divisione e del sospetto: 1) Nikolaj Nepluev (Natalija Ignatovich), fondatore in Russia della “Fraternità ortodossa di lavoro dell’Esaltazione della croce”, che cercava di promuovere l’ideale della pace tra gli uomini attraverso una vita evangelica basata sulla fede, sull’amore e sul lavoro; 2) il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Athenagoras (Athenagoras del Belgio), uomo evangelico di pace e promotore del “dialogo della carità” tra le chiese, che riteneva che “senza ritorno alla religione dell’amore e del perdono, la pace non potrà regnare”; 3) il teologo bulgaro Stefan Zankov (Viktor Mutafov), uno dei pionieri del movimento ecumenico, che lavorò ugualmente per aprire la strada al dialogo tra i cristiani delle diverse confessioni; 4) André Scrima (Anca Manolescu), teologo rumeno, archimandrita del Patriarcato ecumenico, promotore di un dialogo profondo tra le religioni, che faccia spazio a quel “silenzio” trascendente di Dio che precede ogni parola umana, e a quella “pace” presente al cuore delle stesse religioni che assicura la possibilità stessa del dialogo, e ciò allo scopo di giungere ad approfondire insieme il mistero di Dio, tendendo parallelamente verso la sua infinità di vita e di senso. Nelle discussioni in sala si è accennato ai frutti viventi e concreti che l’opera di questi autentici “pacificatori” hanno lasciato in eredità alle rispettive chiese, plasmando un’ortodossia serenamente aperta all’incontro e al dialogo con gli “altri”. La via aperta da questi pionieri – si è sottolineato – è senza ritorno e, nonostante le resistenze da parte di gruppi minoritari (ma spesso molto capaci di far sentire la propria voce, facendola passare per “la voce dell’ortodossia”), è largamente accolta dall’insieme del popolo di Dio presente nelle varie chiese ortodosse.

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Al pomeriggio si è svolta una tavola rotonda sul tema del convegno, presiedeuta da Jim Forest e con la partecipazione di Amal Dibo (Beirut, Libano), Pantelis Kalaitzidis (Volos, Grecia), Aleksander Ogorodnikov (Mosca, Russia), Konstantin Sigov (Kiev, Ucraina). Alla discussione ha preso parte attiva anche il pubblico presente. Molte le questioni affrontate, alcune delle quali, come era prevedibile, direttamente legate alla recente attualità delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente. Da parte di molti è stata affermata la necessità che le chiese ortodosse si liberino dal nazionalismo e dai legami con gli stati nazionali in cui si trovano a vivere: la fede cristiana – è stato affermato – non ammette la sacralizzazione di nessuna terra, poiché “tutta la terra appartiene a Dio”, e ovunque i cristiani si trovino a vivere, devono avere sempre la coscienza di essere anche e soprattutto cittadini di un’altra terra, quella celeste ed escatologica, e che nessuna terra quaggiù può appartenere loro in modo stabile. Si è affermata quindi l’urgente necessità per la Chiesa – per ogni chiesa – nel contesto degli attuali conflitti, di non difendere soltanto i “suoi”, ma tutte le vittime senza distinzioni, di tutte le guerre e di ogni violenza: gli stessi cristiani, del resto, per lo più subiscono violenza negli attuali conflitti (ad esempio in Medio Oriente) non in quanto cristiani, ma in quanto vittime indifese della folle violenza di regimi che utilizzano la religione solo come pretesto per i loro scopi. Il silenzio delle chiese di fronte al dramma delle popolazioni dei paesi del Medio Oriente è quindi intollerabile. In sala è stata posta la domanda: “la chiesa può benedire le armi?”. Per quanto retorica possa apparire dal punto di vista del Vangelo (che non ammette dubbi su questo tema), la domanda porta la chiesa a un serio esame di coscienza sul proprio agire: di fatto le armi sono state e ancora vengono benedette, sia letteralmente che in senso metaforico. Ma oggi più che mai – hanno detto alcuni – esiste per le chiese un’alternativa a tale comportamento: usare la parola di cui dispongono per denunciare apertamente e con coraggio la violenza e le guerre e ciò che ad esse conduce.

La tavola rotonda è stata preceduta da alcuni minuti di preghiera, per ricordare insieme le vittime delle guerre in corso, in particolare i due vescovi di Aleppo, Paul Yazigi, della Chiesa Ortodossa di Antiochia, e Youhanna Ibrahim della chiesa Siro-Ortodossa, che si trovano tuttora nelle mani dei rapitori insieme a numerosi altri ostaggi.