La liturgia torni fonte di spiritualità

c6ea1d3bdb6be277d95018d350ea7447.jpgLA LITURGIA TORNI FONTE DI SPIRITUALITÀ

Avvenire
30 maggio 2013
di ENZO BIANCHI

Confesso la mia preoccupazione e sofferenza per una permanente incomprensione del rapporto tra liturgia e spiritualità, anzi per un misconoscimento che mi pare sempre più profondo e attestato. Chi come me per ragioni anagrafiche ha conosciuto una vita cristiana alimentata dai «pia populi cristiani exercitia», da devozioni e manifestazioni della pietà popolare, ha nutrito grandi speranze nell’ora della riforma liturgica: in quel momento infatti si assumeva la convinzione che la vita spirituale personale non può avere altra fonte che non la liturgia, la liturgia eucaristica innanzitutto, la liturgia delle ore, la liturgia dei sacramenti. Come negare che la restaurazione della veglia pasquale voluta dalla riforma di Pio XII all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso cambiò la nostra spiritualità, ponendo al suo centro il mistero pasquale, il mistero della morte e resurrezione del Signore Gesù? E come dimenticare il “messalino”, quell’eccellente libro di preghiera personale che offriva l’eucologia delle collette del tempo liturgico e per le varie necessità e la liturgia delle ore domenicale quale fonte della spiritualità quotidiana?

Ma cosa è successo dopo, in contraddizione con l’intenzione della riforma liturgica e l’amplissimo materiale che essa poneva a disposizione quale fonte di spiritualità autentica per ogni cristiano? Perché i giovani, anche quelli più consapevoli, non possiedono più il messalino? Perché in Italia le diocesi e i loro uffici liturgici, quando vi è un’assemblea diocesana, o di presbiteri, o di religiose, anziché celebrare la liturgia delle ore preferiscono fabbricare, sovente con dilettantismo, delle liturgie in cui non si è più capaci di esprimere una lex orandi?

Giovanni Paolo II ci ha ricordato che «niente di tutto ciò che facciamo noi nella liturgia può apparire come più importante di quello che invisibilmente, ma realmente fa il Cristo per l’opera del suo Spirito» (Vicesimus quintus annus 10). Eppure nella spiritualità attuale, basta leggere gli autori «spirituali» più in voga, il riferimento alla liturgia è assente: molti sono i riferimenti alla preghiera, rarissimi quelli alla liturgia… È bene che si parli del rapporto tra Bibbia e spiritualità, della lectio divina, ma vorrei che lo stesso sforzo fatto da alcuni vescovi, da alcune chiese locali e da molti fedeli per la lectio fosse accompagnato da analoga attenzione e  impegno a favore della liturgia, la fonte della spiritualità: il sito privilegiato per accogliere la Parola è, infatti, proprio la liturgia!

L’auspicio conciliare «La preghiera pubblica della chiesa sia la fonte della pietà e l’alimento della preghiera personale» (SC 90) non ha fin qui trovato un’attuazione e attende nel prossimo futuro un impegno serio da parte di tutte le chiese locali: la liturgia dovrà rispondere alla domanda di un’atmosfera orante, senza per questo cadere in espressioni devote e intimistiche. Questa divaricazione tra liturgia e spiritualità purtroppo è dovuta anche alla responsabilità di operatori liturgici e pastorali che di fatto non riconoscono alla liturgia la qualità di fonte della teologia, della spiritualità e, di conseguenza, della pastorale. Così la spiritualità è sempre più narcisistica, sempre più preoccupata di fornire soluzioni terapeutiche, sempre più individualista e, come tale, è un elemento che ostacola l’assiduità, la partecipazione alla liturgia della chiesa, che è «partecipazione attiva», «actuosa participatio» (SC 14), quando riesce a nutrire, cioè a essere accolta come cibo nella vita di fede del credente. Perché nella liturgia cristiana si tratta di accogliere, non di dare; di diventare soggetti di fede, speranza e carità, non di fare.

I cristiani oggi vogliono trovare nella liturgia il luogo in cui sperimentare ciò che la fede permette di vivere, ciò che può ispirare e plasmare il loro comportamento, ciò che essi possono sperare e dunque testimoniare. È nella liturgia che dovrebbe accadere che Gesù Cristo parla e chiama: «Se tu vuoi…, vieni…, seguimi…, alzati e cammina…, andate…», non nell’intimità individualistica nutrita da letture devote o nell’ambito di assembramenti in cui si testimonia non la presenza del Signore e il risuonare della sua «Parola viva ed efficace» (cf. Eb 4,12), ma si afferma piuttosto: «C’ero anch’io!».
Infine, vorrei indicare per il prossimo futuro l’impegno per la valorizzazione del legame esistente tra liturgia ed evangelizzazione. In verità la chiesa può educare alla fede celebrando in primo luogo il «mistero della fede» con la sua liturgia e i suoi sacramenti, perché proprio la liturgia è il primo atto di evangelizzazione: alle fonti dell’educazione alla fede, dell’evangelizzazione, della vita cristiana c’è la liturgia. Non c’è martyría, non c’è diakonía e non c’è koinonía senza la priorità della leitourghía, dove il «mistero della fede» abilita alla missione e al servizio i fedeli, creando e nutrendo lo spazio della comunione, che è sempre comunione in Cristo stabilita nella potenza dello Spirito santo.

Se è vero l’adagio caro a Henri De Lubac, secondo cui non solo «la chiesa fa la liturgia» ma anche «la liturgia fa la chiesa», allora alla liturgia va riconosciuto il carattere fontale rispetto a ciò che la chiesa vive. Ma se non si è capaci di mostrare questa evidenza nel tessuto dell’azione ecclesiale, perché poi lamentarsi dello scarso rapporto vissuto dai credenti nei confronti dell’eucaristia domenicale? La pratica della fede, il primo annuncio della fede, l’educazione alla fede possono forse fare a meno della «fede pregata», cioè della liturgia, «eloquenza ecclesiale della fede»? L’incapacità mistagogica che contrassegna le nostre liturgie non dipende proprio dal fatto che la liturgia non è sentita come annuncio della buona notizia, come comunicazione del Vangelo, ma è piuttosto vissuta come una sorta di obbligo che fa parte della vita cristiana ma che non ne è la fonte?

La liturgia è luogo dell’esperienza della Parola e dello Spirito, ma luogo che resta umanissimo, in cui l’intero essere umano, nella sua unità di corpo, psiche e spirito, è soggetto dell’esperienza del Dio che viene a lui. Ecco, solo con un’attenzione e un’intelligenza che sappia cogliere l’umanità della liturgia è possibile accogliere in essa il «mistero della fede». Si legge nel prologo del quarto vangelo: «Dio nessuno lo ha mai visto, ma il Figlio», l’uomo Gesù, «exeghésato, ce ne ha fatto il racconto» (Gv 1,18). Parallelamente, potremmo dire che solo nell’umanità autentica della liturgia si può trovare il racconto di Dio, perché la liturgia è l’exeghésato, qui e ora, per noi cristiani.

Enzo Bianchi

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