Lettera agli amici - numero 14
Pentecoste 1983
Il 1983 è un anno ricco di avvenimenti ecclesiali a cui la lettera fa riferimento. Il 16 aprile 1983 la Conferenza episcopale italiana pubblicava il messaggio finale della propria assemblea sul tema “Eucaristia, Comunione, Comunità”. Il 22 maggio 1983 si concludeva a Milano il XX Congresso Nazionale Eucaristico d’Italia, con la messa celebrata da Giovanni Paolo II. La lettera non fa riferimento al giubileo straordinario, l’Anno Giubilare della Redenzione, indetto da Giovanni Paolo II per il periodo 25 marzo 1983 – 22 aprile 1984, data della Pasqua.
La lettera della Pentecoste 1983 critica una idea di chiesa “che gioca la carta dei movimenti ecclesiali per essere presente nel socio-politico […] tentata da nuovi temporalismi”. Ma è una lettera che mostra anche preoccupazione per la conflittualità interna alla chiesa e per i tentativi di interpretare il concilio Vaticano II in modo contrario al suo spirito evangelico. In questo testo si collega la denuncia, già avanzata negli anni settanta, contro “il pericolo del formarsi di chiese parallele a depauperamento della chiesa locale con l’insorgere di movimenti ecclesiali totalizzanti”, col rischio presente di dividere la chiesa della “scelta religiosa” e “chiesa confessante”. La lettera difende i credenti della “scelta religiosa” dalla denigrazione e presenta una idea di chiesa che rifugge dalla pressione a imporre un modello di presenza socio-politica del cattolicesimo, a scapito di una testimonianza evangelica che non ha bisogno di sigle o slogan. È una risposta alla polemica che persiste nella chiesa italiana, dagli anni settanta in poi, da parte del cattolicesimo della “presenza” (politicamente vicino a certi settori della Democrazia Cristiana, ma anche schieratosi in modo militante col pontificato di Giovanni Paolo II) contro la “scelta religiosa” (termine che origina dal dibattito interno all’Azione Cattolica, diversa dalla “scelta socialista” delle ACLI - due forme diverse di sganciamento dal “collateralismo” rispetto alla DC).
Sul versante ecclesiale, la polemica sui diversi modelli era ripresa dopo l’elezione di Giovanni Paolo II, che è sensibile al potenziale dei nuovi movimenti ecclesiali per un rinnovamento non solo della chiesa nel post-concilio, ma anche della società di fronte alla secolarizzazione. La vis polemica della lettera non è sulle opzioni politiche, ma sullo stile ecclesiale che, da parte di movimenti particolarmente dinamici sulla scena, si orienta spesso e volentieri all’accusa e al vilipendio di altri settori della chiesa. La lettera prende le distanze anche dai tentativi di identificare politicamente il cristianesimo con la “terza via” tra capitalismo e modello socialista – una terza via che veniva presentata da certi cattolici come la sola possibile scelta cristiana.
La lettera fa riferimento anche alla convocazione del secondo convegno nazionale della chiesa italiana, dopo quello del 1976, che si sarebbe tenuto a Loreto nell’aprile 1985 e che in certo modo fu una esaltazione del cattolicesimo dei nuovi movimenti e del modello della presenza.
Cari amici, ospiti e voi che ci seguite da lontano
ancora una volta il qiqajon vuole essere uno degli strumenti da noi usati per dirvi la nostra vicinanza, la nostra costante e ardente preghiera e per comunicarvi le nostre speranze e le nostre apprensioni.
Viviamo infatti al cuore della chiesa e nella compagnia d~gli uomini, cercando di essere attenti ai fatti e alle parole di questo tempo, fatti e parole che dobbiamo sempre porre sotto il primato e la signoria assoluta della Parola di Dio, trasmessaci da una catena ininterrotta di testimoni dell'evangelo nella storia. Che cosa ci preoccupa e a volte ci muove a santa impazienza?
In questi giorni non abbiamo ansia più grande di quella che scaturisce dalla situazione presente della chiesa, in cui si profilano, fino a sembrare dominanti e vincenti, alcune pesanti ambiguità: una chiesa tentata dalla conflittualità interna - conflittualità sempre presente finchè si cammina verso il Regno - tentata di dividersi in partiti, di spezzare la comunione, di decentrare dalla vita ecclesiale l'eucarestia quale criterio di comunione.
Questi anni del dopo-conci/io sono faticosi e questo l'abbiamo sempre saputo e detto, ma l'evolversi delle situazioni in questi ultimissimi anni ci pare davvero minaccioso nei confronti dell'eredità conciliare che resta il supremo sforzo istituzionale tentato dalla chiesa nell'interpretazione delle esigenze perenni dell'evangelo per l'uomo d'oggi.
Dobbiamo confessare di sentirci autorevoli su questi temi perchè già negli anni ci siamo opposti a un frazionamento tra chiesa istituzionale e chiesa delle comunità di base, in seguito abbiamo denunciato il pericolo del formarsi di chiese parallele a depauperamento della chiesa locale con l'insorgere di movimenti ecclesiali totalizzanti e ora protestiamo vivamente di fronte al tentativo, che appare vincente, di dividere la chiesa in due schieramenti: la chiesa della "scelta religiosa ormai classificata come contro-presenza, e la chiesa confessante che, volendosi e dichiarandosi fedelissima all'attuale pontificato, pretende di far coincidere l'azione sociale e politica con /'identità cristiana. Ormai l'accusa è stata lanciata: i cristiani che in questi anni hanno optato per la scelta religiosa della loro presenza nella società sarebbero responsabili di un ridimensionamento del cristianesimo, di un depauperamento della sua forza nella storia. Ma occorre chiedersi se il vero ridimensionamento del cristianesimo, rilevante teologicamente, non si abbia proprio quando, con toni di ostentata sicurezza e di arroganza propria dei vincenti, non si esita a proclamarsi gli unici detentori di soluzioni sociali e politiche di fronte al mondo e si pretende di offrire una "terza via" cristiana tra capitalismo e modello socialista.
La forma della presenza della chiesa, della sua autentica visibilità nel mondo è la dominante dell'impegno e della rilevanza socio-politica o è la santità propria di chi vive l 'agape fraterna e il servizio dei, poveri sul fondamento della partecipazione alla mensa della Parola e dell'Eucarestia? E' davvero necessario assumere nella chiesa l'atteggiamento di miliziani sia nei confronti del mondo sia nei confronti di altre compagini ecclesiali, senza porsi in umiltà davanti alla Parola di Dio e in spirito di misericordia accanto ai fratelli?
Questo indirizzo di chiesa emerge non tanto da affermazioni che risuonano, magari citando la Scrittura, e che prese singolarmente non sono sempre contestabili, ma dall'atteggiamento arrogante, dal giudizio impietoso, dall'attacco sistematico che colpisce cristiani, presbiteri e ormai anche vescovi, visti come traditori, lontani dalla vita, disertori di fronte 'alle urgenze di una chiesa che si vuole massicciamente presente e operante nel sociale e nel politico, Qual'è allora il criterio della comunione nel popolo di Dio? E' ancora l'ascolto obbediente della Parola e dell'Eucarestia o è ormai altra cosa, come l'impegno sociale e politico, un 'unica forma di essere presenti nel mondo?
I vescovi italiani, che ancora nel serio e meditato messaggio finale della XXI assemblea generale della CE! richiamano all'Eucarestia "sacramento di comunione" e si impegnano "in una coraggiosa ricerca di comunione", dovrebbero quali pastori pronunciar.r; una parola chiara che freni il tentativo di quanti vorrebbero il formarsi di una nuova cristianità. Il cristianesimo come forza operante nella
vita sociale non va assolutamente neutralizzato, nè si deve fuggire da una presenza attiva dei cristiani nell'ambito culturale e politico, tantomeno si deve tacere o negare /'identità cristiana, ma ci si deve opporre a una confusione tra il "proprium" della chiesa, che è l'annuncio dell'evangelo, e le realizzazioni che i cristiani attuano nell'ambito della storia,
Il mistero della chiesa non si esaurisce e non si identifica in nessuna delle forme storiche di presenza assunte dai credenti e la chiesa deve stare nel mondo come lo è stato il suo Signore: nella povertà, nella mitezza, nella persecuzione e nella sconfitta, senza messianismi temporali, senza pretendere di essere proclamata "Re", cessando di essere un potere tra i poteri (cf. Gv 6. 75; 79.36). La chiesa dev'essere fiera della propria identità che le viene data solo dal Crocifisso Risorto; essa deve stare tra gli uomini e nel mondo ma il mandato che le ha dato il suo Signore è quello dell'agape reciproca, del servizio a ogni uomo, dell'annuncio della pace: e tutto questo compiuto da agnelli in mezzo ai lupi, da poveri per i poveri, da pacifici e miti perchè figli di Dio. Altre funzioni e altri mandati che i cristiani volessero inventare non vengono da Gesù di Nazareth ma scaturiscono da una volontà di stare in mezzo agli uomini come gli altri poteri ideologici, economici e politici.
La chiesa è sempre tentata dalla mondanizzazione, soprattutto quando manca di profezia, di quella presenza a caro prezzo, non vittoriosa, che si afferma nella sconfitta e'nella debolezza (cf. 7 Co 7,26ss), La chiesa è forte quando si sente debole, rinunciando a ogni trionfalismo, e non quando pone la propria fiducia in nuovi carri e cavalli (cf. Sal 20,8). Una chiesa che gioca la carta dei movimenti ecclesiali per essere presente nel socio-politico allo stesso modo in cui un partito gioca la carta dei sindacati con cui sminuzza la propria presenza nel sociale, è una chiesa mondana, tentata da nuovi temporalismi.
Per questo noi vogliamo ancora una volta esprimere la nostra solidarietà a tutti quei credenti che hanno intrapreso il difficile cammino dello stare come cristiani nel mondo senza arroganze eppure pesantemente denigrati in questi giorni per la loro "scelta religiosa", e vogliamo dire il nostro assenso e lo nostra fiducia nel messaggio della CEI e nel/'indizione del prossimo convegno nazionale di tutte le componenti della chiesa italiana che devono riflettere sulla comunione e sulla presenza dei cattolici in mezzo agli uomini di questo tempo, cosi' bisognosi di speranza e di indicazioni profetiche prepolitiche che nascono soltanto da una ricomprensione dell'identità cristiana fondata sulla contemplazione cristologica.
Ma quali sono le nostre speranze? Sono quelle che nascono da una visione di una chiesa che da anni, sempre di più, si concentra sulla Parola di Dio e sul magistero silenzioso dell'eucarestia. Anche il modo in cui si è preparato e si vive il congresso eucaristico nazionale - modo così differente da quelli precedenti – ci sembra attestare lo fecondità della Parola di Dio, sempre di più spezzata, meditata, letta e pregata nella chiesa, nei gruppi, nelle famiglie, dai singoli. Anche se questo fosse l'unico dono del concilio alla Chiesa, dopo secoli di esilio della Parola, sarebbe più che sufficiente.
Anzi, questa è e rimane per noi lo grande speranza che sicuramente sta dando un nuovo volto alla chiesa, senza sogni e senza miti. La chiesa non è il Regno di Dio e in essa ci si sta sempre faticosamente. D'altronde dobbiamo essere grati al Signore, per aver già dato in dono al/a chiesa un papa santo come Giovanni XXIII un concilio carico di profezia e, per lo nostra comunità, un pastore dei poveri e un padre come il Cardinale Michele Pellegrino, che si sta spegnendo lentamente nel silenzio e nella solitudine come l'agnello afono. Non ci saranno estati per lo chiesa sulla terra perchè l 'estate apre alla mietitura, al giudizio e alla venuta di Cristo, ma primavere ce ne saranno ancora, anche se forse con gelate e brinate repentine.
La chiesa ha bisogno di santi e sulla santità gioca non solo lo propria fedeltà al Signore, ma anche lo capacità di essere lampada per gli uomini. E di essere tesi alla santità fino a essere fatti santi da Dio nessuno, proprio nessuno, può impedirlo nella chiesa come nel mondo. Per questo, alla vigilia della Pentecoste, invochiamo lo Spirito santo e chiediamogli il dono della santità per tutto il popolo di Dio: questo vivrà nella comunione e nella pace, dilatandola su tutti gli uomini.
Vieni Spirito santo! Vieni Signore Gesù!
I fratelli e le sorelle di Bose
22 maggio 1983
festa di Pentecoste,
memoria della discesa dello Spirito santo
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