Lettera agli amici - Avvento 2019
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Cari amici e ospiti
e voi che ci seguite da lontano
e a cui desideriamo manifestarci vicini con questa lettera:
il Signore è venuto nella carne,
viene nell’oggi della storia,
verrà nella gloria alla fine dei tempi.
È questa la buona notizia della fede che ogni anno il tempo dell’Avvento proclama alla comunità dei discepoli di Gesù perché diventi la loro parola di speranza per i loro fratelli e le loro sorelle in umanità. Buona notizia di speranza ma anche di giudizio. L’Avvento ci dispone all’attesa della venuta gloriosa del Signore, venuta misericordiosa e temibile, portatrice di giudizio sul nostro oggi. La buona notizia dell’Avvento ci interroga, come singoli battezzati, come comunità cristiane, come chiesa di Dio diffusa su tutta la terra: che ne abbiamo fatto dell’incarnazione del Signore? Che ne abbiamo fatto della sua presenza attorno a noi? Che ne facciamo di quei poveri, senza casa e senza patria, esclusi dallo spazio e dal tempo che sono i migranti? Non sono forse sono la carne di Cristo? Che ne abbiamo fatto dell’insegnamento biblico che chiede di “amare l’immigrato come te stesso” (Lv 19,34)? Che ne abbiamo fatto del vangelo, se la pratica religiosa si accompagna tranquillamente a ostilità, intolleranza e perfino odio nei confronti di stranieri e migranti? Il vangelo presenta i poveri e i forestieri come dotati di autorità escatologica, come portatori nella loro carne, nella loro stessa povertà, del giudizio escatologico: “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). Ecco allora che una parola di Gesù che annuncia la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo in mezzo a tragedie storiche e climatiche, suona urgente per tutti noi cristiani: “Risollevatevi e alzate il capo” (Lc 21,28). Invito alla speranza grazie alla quale si può camminare eretti, con la fronte alta, verso una meta, ma anche invito a una sollevazione che porta a dire di no, che porta a non chinare il capo di fronte a decisioni e opzioni e discorsi e politiche e gesti che la storia stessa, con il suo giudizio, finirà per valutare come criminali.
Guardando ai nostri giorni e, in particolare, all’ultimo anno trascorso, noi vediamo il dilagare dell’odio nei comportamenti e a livello verbale, sui social come nelle conversazioni quotidiane, vediamo un inumano che si fa strada tanto nelle relazioni quotidiane, quanto nelle politiche: stiamo vivendo tempi cattivi, in cui quasi ci sa fa un vanto della cattiveria. Quasi si rivendica un diritto alla cattiveria. Da politiche di respingimento nei confronti di migranti, a impedimento a soccorrere in mare chi è in difficoltà e rischia la morte, a episodi odiosi di violenza e intolleranza verso stranieri braccianti che lavorano per pochi soldi nelle campagne del nostro Meridione, tanti sono i gesti di cattiveria e inumanità che colorano di tinte tenebrose i nostri giorni e riguardano governi nazionali e singoli cittadini, financo ragazzi e adolescenti che crescono nell’insegnamento del disprezzo verso il povero e lo straniero.
Vediamo aumentare esponenzialmente gli episodi di intolleranza xenofoba e le violenze di chiara impronta fascista e razzista ad opera sì di frange minoritarie, che tuttavia sentono, da un lato, di poter godere della comprensione e del supporto di una fetta consistente della popolazione, dall’altro, di essere legittimati da discorsi e atteggiamenti di responsabili della cosa pubblica. Potremmo dire: da responsabili irresponsabili. Perfino alcuni amministratori pubblici locali hanno attuato disposizioni discriminatorie nei confronti dei non italiani, palesemente in contrasto non solo con l’etica cristiana ma anche con il dettato costituzionale.
Perché invece non ricordare, da parte di ogni essere umano, l’elementare verità che “il principale vincolo che unisce gli uomini tra loro è l’umanità” (Lattanzio)? Che l’altro, prima di essere “altro” per cultura, religione, lingua e usi, è un “simile”, è “mio simile”?
Uno sguardo al clima dominante nel nostro paese non può che preoccupare chi ha a cuore l’annuncio del Vangelo, ma anche la qualità umana della persona e delle relazioni sociali. L’arrivo di profughi, richiedenti asilo e migranti climatici ed economici partiti dalle sponde meridionali del Mediterraneo – ma provenienti in realtà dal Medio Oriente devastato dalle guerre o dall’Africa sub-sahariana vittima di carestie o di spogliazione delle sue risorse naturali – ha provocato uno spostamento massiccio dei sentimenti xenofobi e razzisti verso i nord-africani e i neri. A nulla valgono i richiami ai numeri oggettivi e alla possibilità e necessità di regolare i flussi migratori, rendendoli anche legali e sicuri come attraverso l’efficace e meritoria, ma limitata, iniziativa dei corridoi umanitari: la crisi finanziaria mondiale offre il pretesto ideale per dirottare la paura e l’ansia della popolazione autoctona in maggiore difficoltà economica contro i più poveri, come se l’aver identificato degli “ultimi” cui addossare ogni colpa rendesse meno precaria e più sopportabile la condizione dei “penultimi”.
La xenofobia, quella “paura del diverso” che così facilmente ci attanaglia, non è ancora razzismo, ma senza una vigilanza sul suo insorgere, senza una resistenza a lasciarle dettare i nostri comportamenti di fronte a eventi socialmente traumatici e senza una gestione adeguata del fenomeno migratorio, la strada verso il razzismo è spianata, come stiamo costatando oggi.
In questo contesto, il fenomeno dell’immigrazione – epocale e non più emergenziale – mette in evidenza una dicotomia sempre più marcata nel mondo cattolico e nella nostra società, una faglia quotidiana tra quelli che abbiamo definito “i cristiani del campanile” e “i cristiani del Vangelo” o “cattolici della facciata” identitaria e “cristiani della sequela”, faglia che in realtà attraversa come una tentazione l’intero corpo ecclesiale.
Quando si ostenta un attaccamento alle apparenze di una cultura identitaria cattolica senza curarsi della totale incoerenza dei comportamenti rispetto al dettato evangelico, allora ci si conforma alla mentalità mondana strumentalizzando simboli religiosi ridotti a feticci. Copie dei Vangeli e corone del rosario vengono sbandierate per rivendicare un’identità cattolica, proprio mentre si manifesta aperto dileggio nei confronti di papa Francesco e dei pastori della Chiesa italiana, disattendendone i richiami evangelici e gli orientamenti solidali.
Ma ai discepoli di Cristo di ogni tempo e di ogni luogo è chiesta la radicalità della sequela: consapevoli dei propri limiti, i cristiani cadono costantemente in questo cammino dietro al loro Signore, ma si rialzano e riprendono la strada della conversione nell’attesa della venuta gloriosa del Signore, rinnovano la loro speranza e camminano cercando di conformare ogni giorno le loro povere vite a quella di Gesù Cristo e alle esigenze poste dal Vangelo. La pacifica, ostinata resistenza di questi uomini e queste donne – semplici battezzati di ogni età e classe sociale, presbiteri, religiose, vescovi – tiene accesa, nonostante tutte le loro contraddizioni, la fiaccola del Vangelo in un paese che, come tale, ormai può essere definito “postcattolico”.
È assieme a loro e assieme a voi, cari fratelli e sorelle in Cristo, che in questo tempo dell’Avvento vogliamo invocare e attendere operosamente la venuta del Signore, risollevandoci e alzando il capo, rinnovando la nostra speranza nell’orizzonte del giudizio.
I fratelli e le sorelle di Bose