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L’incantesimo si ruppe


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cezannedi Rubem Alves

Alcuni versi di Fernando Pessoa:

Fa’ tacere il tuo canto!
Fa’ tacere, che, mentre l’udii,
udivo un’altra voce,
come venisse negli interstizi
del dolce incanto
con cui il tuo canto veniva a noi.
Ti udii e la udii nello stesso tempo
e differenti congiunte cantare.
E la melodia che non c’era,
se ora la ricordo mi fa lacrimare.
Fu la tua voce incantamento che,
senza volere, in quel momento,
vago svegliò un essere qualsiasi
estraneo a noi che ci parlò?
Non so.
Non cantare.
Lasciami udire quale è il silenzio
che subito segue al tuo canto!
Ah, nulla, nulla!
Solo il cruccio di aver udito,
di aver voluto udire
al di là del senso proprio
che ha una voce.
Quale angelo, al tuo levar la voce,
a tua insaputa calando
venne su questa terra
ove l’anima erra
e con le ali ravvivò le braci
d’ignoto focolare?
Più non cantare!
Voglio il silenzio
per addormentare
qualsiasi memoria
della voce udita incompresa,
che andò perduta,
perché l’udii...
(PFP 200-203).

Due melodie... Quella che sento: giunge con le tue parole, la tua voce... L’altra, che non è la tua, si udì negli interstizi delle tue parole, dal tuo silenzio. Sì, le udii insieme. Ma non esprimevano la stessa cosa: erano differenti. E ciò che è sorprendente è che non era il tuo canto, ma la melodia non più presente che mi faceva piangere. Non so cosa dicesse. Così cercavo di andare al di là “del senso proprio che ha una voce”. Il nome del cantante della melodia che non c’era? Non lo so. Non sono io. Non sei tu. Uno straniero, certamente un angelo, proveniente da un altro mondo, “con le ali ravvivò le braci d’ignoto focolare”. Ogni volta che l’incontro insperato si produce, ci sembra di ascoltare noi stessi e di vedere ciò che abbiamo già visto. Ci sembra di tornare indietro, tornare a udire, ricordare” (AL 185). Ritorniamo a casa nostra dall’esilio, da “questa terra ove l’anima erra”: di nuovo vediamo la nostra verità, la nostra origine e il nostro destino. La verità si rivela nel momento in cui vi ci imbattiamo, quando la superficie ghiacciata del lago s’infrange e ne udiamo la voce: sogno... Siamo salvi per il potere del sogno. Sognare ha il potere di far risorgere i morti. L’uomo morto nel villaggio: una parola priva di significato in sé: una parola silente. Era lui l’Angelo che “con le ali ravvivò le braci d’ignoto focolare”? Anche Babette non aveva nulla da dire. Si limitò a preparare un pasto e quand’essi ne mangiarono, l’incantesimo si ruppe: ed essi giocavano come bimbi, e il tempo perduto ritornava... Così per l’eucarestia: un silenzioso spazio vuoto per i nostri sogni, dinanzi all’Assente per eccellenza – come il morto portato dal mare...

tratto da Parole da mangiare, Edizioni Qiqajon