Spiritual struggle for church unity
Il capitolo 17 rimane il punto culminante di questo incanto unico che ci procura il discorso dopo la cena. Il nostro amore per tutte le chiese di Dio vuole che esse aderiscano completamente a ciò che ha detto il Signore: “Io sono la via, la verità e la vita “ (Gv 14,6). La chiese si sorpassano a vicenda nel loro amore per Gesù. Questa corsa verso l’amore costituisce un aspetto della cattolicità della chiesa.
Forse Giovanni 17 riprende la benedizione di Giacobbe sui dodici figli: “Radunatevi e ascoltate, figli di Giacobbe, ascoltate Israele, vostro padre!” (Gen 49,2). Giacobbe chiama all’unità fraterna dopo il dramma del fratricidio. Nella chiesa non si perdona all’uomo dei sogni. Egli ha altre attese, altre visioni. Vede il volto nascosto della chiesa e cerca di scoprirlo perché ne vede la bellezza. La liturgia della grande e santa settimana parla della bellezza e della castità di Giuseppe. Una chiesa è bella solo se è indipendente dal corpo di questo mondo. La sua virtù le procura il senso della fraternità con le altre chiese di Dio e partendo dal loro servizio. Il racconto di Genesi 37-50 può essere letto come una lotta spirituale per l’unità. Prima del risplendere della sua bellezza nella terra stranera d’Egitto, Giuseppe fu venduto come schiavo dai fratelli. Questi per mezzo delle loro prove acquisiscono consapevolezza della loro colpa. Questo pentimento culmina con Giuda che si offre al posto di Beniamino (Gen 44). A questo punto Giuseppe che ha certamente lottato per perdonare i fratelli si fa riconoscere: “‘Avvicinatevi a me!’. Si avvicinarono e disse loro: ‘Io sono Giuseppe, il vostro fratello’” (Gen 45,4). Si tratta di riconoscere la chiesa sorella come tale a causa del suo essere ecclesiale anche se ci ha ignorato o addirittura ha peccato contro di noi.
In questo grande racconto di Giuseppe ci sono numerosi elementi su cui meditare circa questa lotta spirituale: il pentimento, il perdono, avvicinarsi gli uni gli altri e poi parlare. All’inizio della storia di Giuseppe i suoi fratelli “lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente” (Gen 37,4), mentre al momento del loro incontro in Egitto “baciò tutti i fratelli e pianse. Dopo, i suoi fratelli si misero a conversare con lui” (Gen 45,15). Rimandando i fratelli a suo padre Giacobbe raccomanda loro di non litigare durante il viaggio (Gen 45,24). La ritrovata concordia fraterna è ancora sotto minaccia.
L’apostolo Paolo, con il suo stile personale, traduce per le giovani chiese il vangelo della pace e della comunione. L’origine e la fonte della comunione ecclesiale è l’amore di Gesù Cristo non condizionato dalla nostra situazione spirituale: “Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi” (Rm 5,6). Riprende questa idea poco dopo sottoforma di un crescendo spirituale e dice: “Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). L’unità della chiesa è un dono di comunione attraverso la morte e resurrezione del Messia. Essa è a immagine dell’unità trinitaria manifestata nel mistero della salvezza. La chiesa vive della teologia nell’economia. Esortandoci nella Lettera agli Efesini a custodire l’unità dello Spirito per il vincolo della pace, Paolo non dimentica che questo sforzo è possibile perché c’è “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,5-6). È qui che si vede il riflesso della vita trinitaria nella vita ecclesiale. Quando sopraggiunge una discordia in una chiesa o tra le chiese, è un attentato degli uomini alla loro conformità alla Trinità. Paolo desidera che “Arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,13). Egli pone questa perfezione della fede di fronte alle eresie che sono in agguato contro di noi. Ci si aspetterebbe da lui una trattazione concettuale delle eresie ma egli non parla che di dimorare nell’amore e ci invita a credere “in ogni cosa a lui, che è il capo, Cristo” (Ef 4,15). Per lui l’amore è la guarigione dalle eresie e la sorgente dell’ortodossia della fede. Non si dà mai nell’apostolo delle genti un’indipendenza tra fede, amore e ordine ecclesiale. Le sorgenti dell’unità sono per lui nello stesso tempo la presenza attiva dello Spirito, del Signore e del Padre (cf. Ef 4,4-6) e l’attività convergente dei ministeri (cf. Ef 4,7-13). I ministeri sono l’opera dello Spirito. Sono vissuti nella loro distinzione ma nella oro unità “allo scopo di edificare il corpo di Cristo” (Ef 4,12). Lo Spirito rimane l’ipostasi della varietà dei carismi e della loro unità. Siamo nella medesima economia del Figlio e dello Spirito come dell’unità e delle diversità ecclesiali.
Meditando il mistero della chiesa così come appare a Paolo possiamo comprendere che nell’unità della chiesa non sparisce la diversità delle chiese a causa della molteplicità dei carismi delle chiese diverse. Confesso che questa distinzione non è formale nel corpus paolino ma ne troviamo fondamento. Questo ci permette di dire che la diversità di genio delle chiese locali è un dono di Dio e niente ne permette l’assorbimento che sarebbe un attentato a tale ricchezza voluta da Dio. La lotta spirituale così vista consiste nel riconoscere la diversità nella ricchezza e la visione delle ricchezze nell’unico “tesoro di tutti i beni” di cui parla la preghiera inaugurale al Paraclito nelle chiesa ortodossa. Perciò dobbiamo beneficiare insieme della bellezza dei doni ricevuti dai patriarcati e dalle diverse chiese autocefale. Non so se presso i greci, i russi, gli arabi e gli altri vi siano diverse maniere di sentire l’ortodossia. Ma vi è indiscutibilmente una diversità di sensibilità nell’approccio di questo o quell’aspetto della vita ecclesiale. Per esempio, rivolgendosi agli ortodossi arabi non si può dimenticare l’esegesi, perché il loro milieu storico e culturale è stato colmo d’esegesi nei primi sei secoli e arricchito qualche tempo dopo l’invasione araba dalla filosofia greca. Benché tutti gli ortodossi amino la liturgia, è innegabile che i russi vivono del canto, degli uffici molto lunghi, della musica, della bellezza dell’icona. Dobbiamo conservare questi tesori delle chiese locali. C’è una lotta spirituale da condurre per la conservazione di tutti i nostri tesori.