Spiritual struggle for church unity

La lotta spirituale non è solo quella di ciascun cristiano contro la tentazione del fanatismo, del tribalismo, del disprezzo ereditario dell’altro. La chiesa e le chiese sono anche impegnate contro il principe di questo mondo. Avendo come modello della lotta quella della donna in Apocalisse 12 si tratta in permanenza della lotta della chiesa rappresentata dalla donna contro il drago. La donna è incinta perché noi siamo i suoi figli. Il racconto mette in evidenza la donna vestita di sole e dominatrice della luna. C’è qui una nozione della purezza totale il cui nemico è il rosso fuoco che esce dall’inferno. La donna fugge nel deserto che non è solo il luogo di rifugio dei perseguitati ma quello degli spiriti impuri contro cui la chiesa condurrà la lotta con la sua forza ascetica. Coloro che saranno, dal III secolo, i combattenti ideali per perpetuare il martirio faranno dei deserti il luogo delle lotte ideali contro la potenza del male. La chiesa e le chiese raggiungeranno l’assoluto della loro testimonianza solo morendo a se stesse nella rinuncia totale al mondo, luogo del principe di questo mondo. Forte del sangue del martirio e del sacrificio incruento dei monaci la chiesa sarà in grado di dire: “Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte. Ma essi lo hanno vinto grazie al sangue dell’Agnello e alla parola della loro testimonianza” (Ap 12,10-11).

La lotta spirituale personale e quella ecclesiale sono strettamente solidali. Nel libro dell’Apocalisse, infatti, il Cristo risorto e glorioso indirizza alla sette chiese dell’Asia minore delle lettere per incoraggiarle e correggerle: sono esortate a divenire ciò che sono per mezzo del dono di Dio, della conversione e della fedeltà alla fede apostolica. L’angelo di ciascuna chiesa cui si rivolge il veggente, altri non è, secondo il vescovo Kassian Bezobrazov, che la chiesa stessa. Egli riprova le chiese in quel che possono essere nella vita di fede e ne mostra le grandezze. Ma la cosa più importante del messaggio è colui che lo ha pronuncia. Si rivolge alle chiese a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù (Ap 1,9). La sua forza deriva dal vedere uno simile a un figlio d’uomo (Ap 1,13). Ha compreso che chi gli parla è il risorto. Qualcuno parla a chi non ha visto come lui la forza del Signore della gloria. Le chiese devono rivestire il Cristo totale e perfetto per poter farsi il suo corpo a partire dal capo. Le chiese che a un momento dato della storia sperimentano la luce esortano quelle che ne sono ancora lontane. Questo è il modo con cui Cristo governa la chiesa. Da qualche hanno sono giunto alla convinzione che la decadenza della chiese è la prova più eloquente che lo Spirito santo mantiene la presenza di Cristo tra di noi.

Nella decadenza la lotta spirituale contro il principe di questo mondo, come spiega Basilio il Grande nel suo piccolo trattato sulla fede, è anzitutto quella dei martiri durante le persecuzioni. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13). Il sangue è la parola più eloquente. Solo i martiri non sono convocati a giudizio. Chi vive come i martiri riprova e insieme esorta nella propria chiesa e nelle altre chi ha rinunciato alla lotta. Chi ha consegnato la propria vita nelle condizioni di oppressione politica o chi ha accettato costantemente la persecuzione larvata o aperta e ha combattuto con la testimonianza del silenzio “per la fede, che fu trasmessa ai santi una volta per sempre” (Gd 3) fonda la chiesa cui appartengono e le altre sulla Roccia. Questa forza rende la chiesa incrollabile nei secoli dei secoli. Le chiese costantemente crocifisse possono intonare il canto pasquale con una convinzione messa alla prova. Tali chiese manifestano dei movimenti di rinnovamento imprevedibili. Cristo sceglie in esse i suoi testimoni per trasmettere la vita ai membri considerati come morti. E la vita nuova crea una teologia nuova con parole mai udite, una teologia che è soffio e dunque preghiera.

Questo soffio lo troviamo nella grande preghiera sacerdotale di Gesù in Giovanni 17. Questa preghiera è l’esempio che colpisce di più dell’unità della chiesa. Perché il soffio dello Spirito anima tutta la cristianità, il diacono nella grande ektenía prega per tutte le chiese di Dio. La liturgia della Parola, perché sia accolta nella sollecitudine del Padre, si offre a lui come un’obbedienza detta dalla stessa bocca e sentita in un medesimo cuore. Il Figlio suscita in noi la capacità di rivolgerci a Lui: “le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte” (Gv 17,8). È il mistero dell’unità della preghiera in tutte le assemblee eucaristiche del mondo. Se è vero che il sacrificio incruento, nella forza del Logos, è celebrato su tutti gli altari, non è men vero che l’entusiasmo degli uni sostiene le sorelle e i fratelli più deboli e meno innamorati della bellezza di Dio. alcuni sono capaci di una più grande audacia per osar dire “Abba” e abbracciano nel loro slancio chi fu incapace d’audacia.