Spiritual Paternity and Contemporary World

Pure i monaci sono in buon numero stipendiati dallo stato; hanno incarichi e diritti come ogni stipendiato, incluso il diritto di congedi legali! Nei nostri monasteri c’è molto lavoro per la costruzione degli edifici e nei campi, poiché i monasteri più antichi possiedono talvolta grandi superfici agricole e foreste. Così i monaci non hanno più tempo per la vita monastica in sé, per la preghiera e gli uffici quotidiani, per la lettura e la formazione spirituale.

Un altro vero problema è la penuria di cappellani per i monasteri femminili. Si trova a fatica un monaco presbitero che celebri gli uffici e l’eucaristia in questi monasteri. Spesso per la confessione, le monache chiamano degli ieromonaci più anziani e più esperti degli antichi monasteri. È una situazione anormale, soprattutto se si pensa che in Romania la confessione precede ciascuna comunione eucaristica. Questo fa sì che questa sia molto rara. Così oggi mancano crudelmente i padri spirituali che potrebbero assicurare una vera direzione spirituale. Molti monaci, molte monache sono alla ricerca di un padre spirituale, che si trova a fatica in alcuni monasteri come quello di Techirghiol (il padre Arsenij Papacioc di 94 anni di cui 14 passati nelle prigioni comuniste), di Sambata di Sus (il padre Tefil Paraian di 80 anni, cieco dall’età di 3 anni), di Petru Voda (il padre Iustin Parvu, di 90 anni di cui 12 nelle prigioni comuniste), di Frasinei (i padri Paisij, Ioachim, Ioanichie), di Husi (il padre Mina Dobzeu, 87 anni, molti dei quali in prigione), di Putna (il padre Adrian Fageteanu, 94 anni, passato anche lui per le prigioni comuniste), di Rohia (il padre Serafim Man, 78 anni), di Lazesti (il padre Rafael Noica, 68 anni), di Ramet (il padre Filotei, 65 anni), di Casiel (il padre Serafim Badila, 60 anni) e forse ancora qualcun altro. Sta nascendo a fatica una nuova generazione di padri spirituali: al monastero di Patrauti-Botosani (il padre Ioan Harpa 40 anni), al monastero di Parva-Bistrita (il padre Paisij 40 anni), al monastero di Alba Iulia (il padre Ioan Cojan 47 anni), al monastero di Camarzani (il padre Ignatij Suciu 38 anni), al monastero di Lainici (il padre Ioachim Parvulescu, 41 anni). Menziono anche una madre spirituale, molto nota e amata oggi in Romania, la madre Silvana del monastero di Jitianu (vicino a Craiova). Tra i vescovi la reputazione più grande di padre spirituale l’ha il vescovo vicario di Cluj-Napoca, Vasilj Somesanul (60 anni) che riceve la confessione non solo dei vescovi, dei presbiteri e dei monaci ma anche dei fedeli tra cui molti giovani.

Il ministero di un padre spirituale è legato soprattutto alla confessione dei peccati, atto sacramentale durante il quale il discepolo apre la sua anima davanti a colui che tiene il posto di Dio per ricevere non solo il perdono dei peccati ma anche consiglio nella lotta contro i demoni che agiscono attraverso i pensieri cattivi, e per la purificazione delle passioni quando si è assoggettati al peccato. Certamente l’esercizio del padre spirituale non si limita solo all’atto sacramentale della confessione dei peccati. La relazione del figlio con il padre spirituale deve essere costante, può rivestire in ogni momento un carattere sacramentale, in funzione della disposizione dell’anima dell’uno come dell’altro. Infatti in ogni relazione, i due devono aver l’umiltà di Cristo ed essere obbedienti allo stesso Spirito santo per mezzo della preghiera.

Ecco cosa scrive Padre Sofronio del suo santo starec Silvano: “Lo starec attribuiva un’importanza tutta particolare all’obbedienza spirituale verso l’igumeno e il padre spirituale, considerandola come un dono della grazia, come un mistero sacramentale della chiesa. Quando andava dal suo padre spirituale, pregava il Signore di fargli misericordia per la mediazione del suo servo, di rivelargli la sua volontà e la via che conduce alla salvezza. Sapendo che il primo pensiero che nasce nell’anima per mezzo della preghiera è un’indicazione data dall’alto, braccava la prima parola del suo padre spirituale, la sua prima allusione, e non prolungava oltre il colloquio. È qui il segreto e la sapienza della vera obbedienza, il cui scopo è conoscere e compiere la volontà di Dio e non di un uomo. Una tale obbedienza spirituale, senza alcuna obiezione o resistenza, non solo espressa, ma anche interiore, non espressa è, in un modo generale, la condizione sine qua non per la ricezione della tradizione vivente”.

Più avanti il padre Sofronio ci mostra come comportarsi con il proprio padre spirituale: “Un discepolo o un penitente accorto si comporta con il proprio padre spirituale nel seguente modo: con qualche parola gli espone il suo pensiero o l’essenziale del suo stato, dopo tace. Da parte sua, il confessore che dall’inizio del colloquio si è messo a pregare, chiede a Dio di essere illuminato per la grazia; se percepisce nella propria anima un’‘informazione’, dà la sua risposta sulla quale conviene fermarsi. Infatti se si lascia scappare la prima parola del padre spirituale, si indebolisce anche la forza del sacramento e la confessione rischia di trasformarsi in una discussione umana” (Archimandrita Sofronio, Starets Silouane, moine du Mont Athos, Édition Présence 1973, p. 78).

In Romania oggi la pratica della paternità spirituale si riduce il più delle volte alla confessione dei peccati. Per necessità pratica tutti i presbiteri monaci e tutti i presbiteri di parrocchia sono nel contempo confessori. Non è così in Grecia dove la formazione teologica dei presbiteri è più precaria che in Romania. Il padre Cleopa (morto nel 1998) raccomanda ai monaci la confessione settimanale e la comunione ogni 40 giorni. Per i più ferventi, ammette la comunione una volta a settimana. Bisogna anche dire che l’eucaristia in quasi tutti i monasteri è celebrata ogni giorno, ma il più delle volte senza che ci siano comunioni. In parrocchia i fedeli si confessano abbastanza raramente: da una a quattro volte l’anno, cioè nelle grandi quaresime. Molti non si confessano mai. Secondo la “tradizione” ogni comunione è preceduta non solo dalla confessione ma anche da un digiuno alimentare di almeno tre giorni. La pratica della comunione è dunque rara sia nei monasteri che nelle parrocchie. Da qualche anno alcuni vescovi e presbiteri cercano di incoraggiare una comunione più frequente.