Conférence du métropolite Hilarion de Volokolamsk

Bose, 10 settembre 2011
Il Metropolita Ilarione di Volokolamsk
XIXe Colloque œcuménique international
de spiritualité orthodoxe
Bose, mercredi 7 - samedi 10 septembre 2011
en collaboration avec les Églises orthodoxes 

Bose, 10 settembre 2011

XIXe Colloque œcuménique international
de spiritualité orthodoxe

Bose, mercredi 7 - samedi 10 septembre 2011

en collaboration avec les Églises orthodoxes


 

L’IMPORTANCE DE LA SAINTE ÉCRITURE
DANS LA THÉOLOGIE ORTHODOXE CONTEMPORAINE

Écouter la conférence en langue russe
 
 
 Traduction en langue italienne de la conférence du métropolite Hilarion:

 

1. Scrittura e Tradizione

La Chiesa ortodossa considera la Sacra Scrittura come un tutto inscindibile, al cui centro si trova il Vangelo. L’Antico Testamento è visto dalla Chiesa come una “preparazione al vangelo” (1), e le lettere degli apostoli come una autorevole interpretazione del messaggio evangelico, proveniente dai discepoli più vicini a Cristo.

La comprensione e l’interpretazione della Sacra Scrittura nella teologia ortodossa per alcuni aspetti differiscono dal modo in cui la Scrittura è concepita nelle Chiese e scuole teologiche occidentali. Questa differenza riguarda anzitutto il rapporto tra Scrittura e Tradizione. Per la consuetudine ortodossa è innaturale contrapporre l’una l’altra Scrittura e Tradizione, come avviene nella teologia occidentale.

La questione su che cosa sia più importante, la Scrittura o la Tradizione, fu posta nel corso della polemica tra Riforma e Controriforma nei secoli xvi-xvii. I capi della Riforma (Lutero, Calvino) sostennero il principio della sola Scriptura, secondo cui l’unica base dell’insegnamento cristiano e della vita cristiana è la Bibbia. Le definizioni dogmatiche, le tradizioni liturgiche e rituali non fondate sull’autorità della Scrittura non avrebbero potuto, secondo i Riformatori, essere considerate legittime e avrebbero dovuto essere eliminate.
A questo principio protestante i teologi cattolici della Controriforma contrapposero l’assunto che senza Tradizione la Scrittura non avrebbe autorità. Gli avversari della Riforma si basavano sulle parole di sant’Agostino: “Non crederei al vangelo, se non mi spingesse a questo l’autorità della Chiesa cattolica (Ego vero Evangelio non crederem, nisi me catholicae Ecclesiae commoverat auctoritas)”(2). Evidenziavano che il canone della sacra Scrittura era stato costituito proprio dalla Tradizione della Chiesa, che aveva stabilito quali libri ne dovessero far parte e quali no. Al Concilio di Trento del 1546 fu formulata la dottrina delle due fonti, secondo cui la Scrittura non può considerarsi come l’unica fonte della Rivelazione Divina: la Tradizione è una fonte non meno importante.

Sembrerebbe che questa dottrina sia in diretta contrapposizione all’insegnamento protestante. Si può tuttavia vedere come i teologi cattolici, rispondendo ai protestanti, ne mutuassero l’idea stessa di una contrapposizione, in linea di principio, tra Scrittura e Tradizione.
Per la teologia ortodossa, a differenza dei teologi di Riforma e Controriforma, non importa discutere se il primato spetta alla Scrittura o alla Tradizione, quanto evidenziare l’unità di Scrittura e Tradizione nella viva tradizione ecclesiale, dove un ruolo speciale è svolto dall’insegnamento ortodosso sull’azione dello Spirito santo nella Chiesa.

Nella concezione ortodossa la Tradizione comprende non solo i testi (liturgici, dogmatici, canonici), ma anche quello che non è riconducibile al testo, ad esempio gli atti dei celebranti e dei fedeli durante la liturgia, lo stile e i canoni dell’iconografia, le melodie dei canti liturgici, le consuetudini di preghiera. La Tradizione sottintende anche quella realtà spirituale che non si esprime verbalmente ed è custodita nella silenziosa esperienza della Chiesa, tramandata di generazione in generazione. L’unità e la continuità di questa esperienza, custodita nella Chiesa fino ad oggi, costituisce l’essenza della Tradizione ecclesiale.
Uno dei maggiori teologi ortodossi del xx secolo, Vladimir Losskij, definiva la Tradizione come “vita dello Spirito Santo nella Chiesa, vita che comunica a ogni membro del Corpo di Cristo la capacità di sentire, accogliere, riconoscere la Verità nella luce che le è propria, non nella luce naturale della ragione umana”(3). Sottolineando il legame fra Tradizione e Chiesa, Losskij scriveva: “Il concetto di Tradizione è più ricco di quel che molti pensano. La Tradizione non sta solo nella trasmissione orale di fatti che possono aggiungere qualcosa alla narrazione evangelica. Essa è un completamento della Scrittura e, anzitutto, un’attuazione dell’Antico Testamento nel Nuovo, riconosciuta dalla Chiesa. È la Tradizione a farci capire il senso della verità della Rivelazione: non solo di quello che è da accogliere, ma anche – e qui è importante – di come dobbiamo accogliere e custodire ciò che abbiamo udito. Il senso generale presupposto della Tradizione è l’incessante azione dello Spirito Santo, che può dispiegarsi e portare frutti solo nella Chiesa, dopo la pentecoste. Solo nella Chiesa ci rendiamo capaci di scoprire il legame interno, recondito tra i testi sacri, grazie a cui la Sacra Scrittura – dell’Antico come del Nuovo Testamento – è l’unitario e vivo corpo della Verità, dove Cristo è presente in ogni parola”(4).

Nell’ortodossia la Scrittura è vista come parte della tradizione. Questa visione del rapporto tra Scrittura e Tradizione è importante per la concezione ortodossa dell’ispirazione divina della Bibbia, che si distingue radicalmente da analoghe concezioni sostenute nella teologia fondamentalista protestante. Per il fondamentalista protestante l’ispirazione divina è legata alla infallibilità letterale del testo scritturale, al “dettato Divino”. Per la tradizione ortodossa l’ispirazione divina è legata al fatto che la Scrittura è una parte della Tradizione, e la tradizione è la vita dello Spirito santo nella Chiesa. La Scrittura nasce all’interno della tradizione religiosa (Tradizione), è trasmessa dalla tradizione religiosa ed è interpretata dalla tradizione religiosa.

Nella Parola di Dio i teologi ortodossi vedono l’interazione (sinergia) dei principi Divino e umano, in analogia alla mutua relazione delle due nature in Cristo. I libri della Sacra Scrittura furono scritti da uomini, che non si trovavano in stato di trance, ma di sana memoria, e su ciascun libro c’è l’impronta dell’individualità creativa dell’autore, come anche l’impronta del contesto storico-culturale in cui egli viveva e scriveva. Come dice il teologo del XX sec. Boris Sove, “l’idea letterale e meccanica di ispirazione divina dei libri sacri, propria della teologia giudaica e protestante conservatrice, non può essere sostenuta dai teologi ortodossi, in quanto tende a una specie di “monofisismo”, ma deve essere corretta alla luce del dogma Calcedoniano sulla divino-umanità”(5).

In questa luce devono intendersi alcuni fatti come, ad esempio, le discordanze tra gli evangelisti (in Matteo 8,28-34 si parla della guarigione di due indemoniati, mentre nelle narrazioni parallele di Marco e Luca della guarigione di uno solo; le testimonianze dei quattro evangelisti sulla visita delle donne mirrofore al sepolcro vuoto dopo la Resurrezione differiscono nei particolari). Queste discordanze si spiegano col fatto che sugli stessi eventi scrivevano persone diverse, delle quali alcune erano presenti, altre ne raccontavano dalle parole altrui, e i racconti furono messi per iscritto molti anni dopo i fatti narrati.

Per la teologia fondamentalista protestante queste discordanze sono pietre d’inciampo, per spiegare le quali si costruiscono varie ipotesi, spesso poco verosimili. Per la tradizione ortodossa, questo tipo di discordanze non sono affatto sostanziali per riconoscere l’ispirazione divina dei vangeli e la loro autorità.
Fuori dal contesto della Tradizione i testi biblici possono essere considerati dal punto di vista della critica testuale, delle particolarità linguistiche e letterarie, possono essere studiati come testimonianze storiche. Ma essi acquistano importanza dogmatica solo nel contesto della Tradizione. La Tradizione ha l’autorità di dare un nuovo senso dogmatico anche a quei testi della Scrittura che letteralmente non lo esprimono.
Scrive Vl. Losskij: “Agli occhi di un qualunque storico della religione l’unità dei libri antico-testamentari – composti nel corso di molti secoli, scritti da vari autori, che spesso combinavano e fondevano diverse tradizioni religiose – è casuale e meccanica. La loro unità con la Scrittura del Nuovo Testamento gli appare forzata e artificiale. Ma un figlio della Chiesa riconoscerà l’unitaria ispirazione e l’unico contenuti di fede in queste eterogenee scritture, dettate dal medesimo Spirito, quello Spirito che, dopo aver parlato con la bocca dei profeti, precede il Verbo, rendendo la vergine Maria capace di servire all’incarnazione di Dio. Solo nella Chiesa possiamo coscientemente riconoscere in tutti i libri sacri una sola ispirazione, perché la Chiesa possiede la Tradizione, che è la conoscenza del Verbo incarnato nello Spirito Santo”(6).        

Dato che la consuetudine ortodossa non è incline, come la teologia occidentale, a contrapporre tra loro Scrittura e Tradizione, la questione dei confini della Scrittura (almeno per quanto riguarda in canone antico-testamentario) per l’Ortodossia non è così importante come per la teologia occidentale. Sappiamo che la Bibbia della Chiesa ortodossa greca ha una composizione diversa dalla Bibbia slavo-ecclesiastica e dalla Bibbia russa. Nella Bibbia greca manca il 3° libro di Esdra; accanto ai tre libri dei Maccabei accolti dalla Chiesa russa c’è un 4° libro dei Maccabei. Tuttavia queste differenze non sono considerate teologicamente rilevanti dalle Chiese Ortodosse.

Parlando dei rapporti tra Scrittura e Tradizione è importante sottolineare che per la consuetudine ortodossa l’esperienza di vita nello Spirito è primaria rispetto a qualunque testo scritto. L’archimandrita Sofronio (Sacharov) scrive nella vita del san Silvano dell’Athos: “La Tradizione, eterna e immutabile presenza dello Spirito santo nella Chiesa, è il fondamento profondo della sua esistenza, la Tradizione abbraccia tutta la vita della Chiesa, mentre la sacra Scrittura è solo una delle sue forme … la scrittura non è più profonda né più importante della tradizione, ma è una delle sue forme … Se supponessimo, che per una qualche causa la Chiesa rimanesse priva di tutti i suoi libri, cioè dell’Antico e del Nuovo Testamento, dei Padri della Chiesa e dei libri liturgici, la tradizione ristabilirebbe la scrittura, sia pure non parola per parola, o in un’altra lingua, ma nella sua sostanza, e questa nuova Scrittura sarà espressione della stessa fede, trasmessa ai santi una volta per tutte (Giuda 1,3), manifestazione del medesimo Unico Spirito che immutabilmente opera nella Chiesa, essendone fondamento e sostanza. Ma se la Chiesa rimanesse priva della sua Tradizione, essa cesserebbe di essere quello che è, poiché il servizio del Nuovo Testamento è un servizio dello Spirito, scritto non nell’inchiostro, ma nello Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne del cuore (2 Cor 3,3)”(7).

Con queste parole non si sminuisce in nulla l’importanza della Scrittura, esse esprimono l’insegnamento tradizionale della Chiesa ortodossa secondo cui l’esperienza della comunione a Cristo nello Spirito santo è superiore a qualunque espressione verbale di questa esperienza, che sia la Sacra Scrittura o qualunque altra fonte scritta.

I teologi ortodossi sottolineano che Cristo non ci ha lasciato alcuna riga scritta(8). Il cristianesimo è la religione dell’incontro con Dio, e non della interpretazione razionalistica dei testi scritti. I cristiani credono nella risurrezione di Cristo non perché ne hanno letto su di un libro, ma perché hanno conosciuto il Risorto nella loro esperienza interiore.