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XV domingo do Tempo Comum


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A differenza del sacerdote e del levita che, visto l’uomo ferito, passano dall’altra parte della strada, il Samaritano accetta di incontrare l’uomo moribondo e di lasciarsi scomodare da lui. Credo che per leggere onestamente la parabola dobbiamo non tanto identificarci con il protagonista positivo, ma comprendere che di noi fanno parte anche il sacerdote e il levita e che i tre personaggi sono momenti di un unico faticoso movimento verso la vera compassione. Ovvero, per arrivare a “fare compassione” (Lc 10,37; non “provare” o “sentire”, ma mettere in pratica, far avvenire la compassione sul piano della prassi: fecit misericordiam, traduce Gerolamo), occorre riconoscere le opposizioni che in noi sorgono alla compassione e alla solidarietà.

La compassione è il sottrarre il dolore alla sua solitudine e dire al sofferente: Tu non sei solo perché la tua sofferenza è, in parte, la mia. Il testo ci spinge a porci una domanda: perché a volte ci voltiamo dall’altra parte di fronte a un sofferente, perché non vogliamo incontrarlo? La solitudine del sofferente ci fa paura, di spaventa, ci turba: per incontrare il sofferente occorre incontrare anche la propria paura, incontrare in sé stessi la propria solitudine che spaventa. Allora potrà sorgere in noi la solidarietà e la compromissione attiva. L’impotenza del sofferente, del morente (l’uomo percosso dai briganti è “mezzo morto”: Lc 10,30) ha la paradossale forza di risvegliare l’umanità dell’uomo che riconosce l’altro come un fratello proprio nel momento in cui non può essere strumento di alcun interesse. In questo, la compassione è un gesto di radicale umanità e gratuità.

Se è vero che la parabola insegna a farsi prossimo, essa rivela anche, tra le righe, che il sofferente, nella sua impotenza, rende chi gli si fa vicino capace di divenire compassionevole come Dio è compassionevole (cf. Lc 6,36). Non vi è forse un rimando all’esperienza che ci porta a dire che, stando vicino a un malato o a un morente, è più ciò che abbiamo ricevuto di ciò che abbiamo dato? E non vi è, soprattutto, un velato riferimento alla potenza della debolezza del Crocifisso? È nell’impotenza della croce, certo, abbracciata da Cristo nella libertà e per amore, che egli ci ha narrato l’amore universale di Dio.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno C
© 2009 Vita e Pensiero

 

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