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VI Domingo do Tempo Comum


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Miniatura
Gesù guarisce il lebbroso
12 Fevereiro de 2012
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
Jesus aceita encontra-se com aqueles que todos evitavam, mostrando que a maior impureza e imúndicie são as de quem recusa sujar as mãos com os outros

12 Fevereiro 2012

Ano B
Lv 13,1-2.45-46; Sal 31; 1Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45

A primeira leitura apresenta a condição do leproso segundo a Bíblia e o Evangelho narra o encontro de Jesus com um leproso. O leproso representa a pessoa marginalizada por excelência: atingido por uma doença vista não apenas como repugnante mas também como devida a um castigo divino por pecados cometidos, o leproso vive a condição mais infame e desesperada de Israel. É um morto vivo a quem são interditas as relações familiares e sociais, afetivas e eróticas, políticas e religiosas. É “como se o pai lhe tivesse cuspido na cara” (Nm 12,14). Ao sofrimento físico acresce o sofrimento moral e espiritual pela discriminação social, pela distância da família porque a sua presença é portadora de contágior, por ser impuro e considerado pecador. Portanto é simultaneamente vítima e culpado. É este o olhar que os outros lhe dirigem e que ele acaba por assumir de si próprio: ele grita a sua impureza para que quem o ouça o evite (Lv 13,45-46). A sua identidade é extraída da sua doença: ele é “o imundo”.

Gesù accetta di incontrare colui che tutti evitavano, mostrando così che l’impurità e la sporcizia più grandi sono quelle di chi rifiuta di sporcarsi le mani con gli altri. Gesù tocca l’emarginato narrando in modo tattile la sua vicinanza e superando il tabù sacrale. Che uno lo abbia toccato, significa che lui stesso può riprendere contatto con sé, che il suo isolamento non è senza speranza. Le misure di autodifesa della società sono vinte grazie alla compassione, che è il rifiuto radicale dell’indifferenza al male. La compassione si rifiuta di abbandonare l’altro alla solitudine della sua sofferenza. “Il dolore isola assolutamente ed è da questo isolamento assoluto che nasce l’appello all’altro, l’invocazione all’altro… Non è la molteplicità umana che crea la socialità, ma è questa relazione strana che inizia nel dolore, nel mio dolore in cui faccio appello all’altro, e nel suo dolore che mi turba, nel dolore dell’altro che non mi è indifferente. È la compassione… Soffrire non ha senso, … ma la sofferenza per ridurre la sofferenza dell’altro è la solo giustificazione della sofferenza, è la mia più grande dignità… La compassione, cioè, etimologicamente, soffrire con l’altro, ha un senso etico. È la cosa che ha più senso nell’ordine del mondo” (Emmanuel Lévinas).

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