Dal cuore viene la vita

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18 marzo 2025

Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 6,19-23 (Lezionario di Bose)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:" 19Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; 20accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. 21Perché, dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
22La lampada del corpo è l'occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; 23ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!


Importante accostamento mi sembra quello che qui Gesù fa: i “tesori sulla terra” e il cuore, e poi il corpo e l’occhio. Perché importante? Perché mi sembra che rilevi una dinamica fondamentale della vita cristiana, che si rivela poi anche fondamentalmente umana, vale a dire la scoperta, che forse a volte si fa a un certo punto della vita, sollecitati dagli eventi della vita stessa, che l’unica vera proprietà che su questa terra è concessa al cristiano, ma anche all’uomo che voglia vivere nella pace, è quella del suo cuore.

Questo, infatti, è il primo ambito in cui gli è concesso – e anche richiesto – di intervenire, quello è il primo terreno su cui egli può ed è chiamato ad esercitare la propria vigilanza, senza disperdersi al di fuori nella vana curiosità del cercare la pagliuzza nell’occhio del fratello e della sorella, non vedendo la trave che è nel proprio occhio (cf. Mt 7,3-5).

Niente appartiene a noi umani su questa terra, della quale siamo custodi, poiché nulla abbiamo portato in questo mondo e nulla possiamo portarne via (cf. 1Tm 6,7). Il fatto di pensare di essere proprietari di qualcosa (o forse, a volte, anche di qualcuno?) è pura illusione, e il confidare in ciò è grave e sviante errore, che ci allontana dal comprendere: “L’uomo nella prosperità non comprende, è simile alle bestie che muoiono” (Sal 49,21), che muoiono forse senza aver saputo di dover morire, che muoiono senza essersi potute preparare alla morte, come stroncate nell’incoscienza.

L’uomo nella prosperità si illude forse di non dover morire, o perlomeno rischia di non vivere in quella condizione che è costitutiva dell’esistenza umana che è la precarietà, condizione ineliminabile, nonostante tutti gli accorgimenti che possiamo prendere. I recenti eventi ce lo mostrano: le guerre, le carestie, gli sconvolgimenti naturali, le pandemie, gli incidenti improvvisi, non sono forse lì a testimoniarci che la nostra vita, nonostante che le dominanti mondane vogliano farci credere il contrario e offrirci false sicurezze, è precaria e che non può non esserlo?

Ma l’uomo nella prosperità, nel benessere non comprende, non comprende anche che tutti i suoi beni non possono mettere pace nella sua solitudine, non possono consolare il suo cuore, perché la vita, la vita vera, quella che ci rende felici, non dipende da ciò che si possiede, anche qualora si fosse nell’abbondanza (cf. Lc 12,15). È infatti dal cuore che dipende la vita, che dipende la felicità, e per questo bisogna custodirlo con cura: “Più di ogni cosa degna di cura custodisci il tuo cuore, perché da esso sgorga la vita” (Pr 4,23).

Ecco allora il cuore dall’occhio semplice, il cuore che non ha “un atteggiamento prensile” nei confronti delle persone e delle cose, secondo una definizione di semplicità che dava una grande monaca del nostro tempo, sorella Maria di Campello, la quale diceva che semplicità è lasciare che le persone e le cose siano se stesse. Ecco allora che l’occhio del cuore diventa luminoso perché trasparente, perché lascia filtrare la luce che lo abita senza porvi ostacoli. Proprio scomparendo, esso viene fuori per quello che è e conosce la pace e la gioia della comunione. A noi raccogliere questa preziosa eredità.

sorella Cecilia