Guardare da vicino il proprio cuore
10 dicembre 2024
Mt 23,25-32
In quel tempo, Gesù disse: "25Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, ma all'interno sono pieni di avidità e d'intemperanza. 26Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi pulito!
27Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all'esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. 28Così anche voi: all'esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità.
29Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, 30e dite: «Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti». 31Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. 32Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri."
Gesù continua il suo discorso di rimprovero contro scribi e farisei che, potremmo dire sinteticamente, è una declinazione articolata del grande tema dell’ipocrisia: è la doppiezza del cuore e della vita, di cui scribi e farisei sono l’icona tristemente più eclatante. In questi versetti è soprattutto messo in luce il contrasto, la contrapposizione tra “esterno” ed “interno”: con le sue parole Gesù rivela come queste due dimensioni del cuore e della vita dell’uomo possono degenerare in una contraddizione reciproca, una contraddizione del pensare, del parlare, dell’agire e dell’apparire. Altrove Gesù aveva rimproverato questa ipocrisia di scribi e farisei ricordando la parola forte del profeta Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me; invano mi rendono culto” (Is 29,13; Mc 7,6-7).
Se, in radice, il peccato di scribi e farisei è quello della doppiezza, Gesù – da buon conoscitore del cuore dell’uomo – rimprovera qui anche un altro atteggiamento spirituale che si sovrappone a quella doppiezza, aggravandola: la loro “cecità” (cf. v. 26: “fariseo cieco”), la loro non consapevolezza. E così il loro peccato diventa inescusabile, perché non si apre alla conversione, proprio come quello – non a caso – di altri farisei, che altrove a Gesù domandano: “Siamo ciechi anche noi?”; e Gesù risponde loro: “Se foste ciechi”, cioè se foste consapevoli di essere ciechi, “non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane” (Gv 9,40-41).
Chi di noi ha un minimo di consapevolezza di sé e ha una pratica, anche elementare, di lettura del proprio cuore di fronte al Signore sa che questo vizio della doppiezza si insinua facilmente, troppo facilmente nel cuore di ogni uomo, in particolare di chi ha una vita e una pratica di fede. Particolarmente in guardia contro questo male del “cuore doppio” deve stare chi – come chi scrive! – vorrebbe fare della sua vita un cammino verso un “cuore unificato”, verso un “cuore monaco”…
A tutti noi Gesù rivolge queste parole dure per risvegliarci alla consapevolezza di ciò che abita nel nostro cuore. Sulla base di questa vigilanza assolutamente necessaria e sempre da rinnovare, Gesù ci dona anche una parola che da sola potrebbe riportarci sul cammino dell’unificazione del cuore, e questa parola è “umiltà”. Poco prima di iniziare la sua arringa di “guai”, Gesù aveva infatti consegnato un’ammonizione: “Chi si umilierà sarà esaltato” (Mt 23,12). Un’esortazione che si potrebbe anche spiegare così: a chi avrà il coraggio di chinarsi a guardare da vicino il proprio cuore, il Signore donerà uno sguardo dall’alto che lo renderà consapevole della propria doppiezza e lo incamminerà sulla via della conversione verso un cuore unificato, un “cuore uno” che renda al “Dio uno” l’unico culto spirituale a lui gradito e non vano: “corpi”, cioè vite, offerte quale “sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12,1), cioè unificate a immagine del Dio uno, vivo e santo.
fratel Matteo