Un Dio solidale dei nostri scacchi

Davide Benati
Davide Benati

7 maggio 2024

Gv 12,37-50

In quel tempo 37sebbene Gesù avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, 38perché si compisse la parola detta dal profeta Isaia:

Signore, chi ha creduto alla nostra parola?
E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?


39Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse:

40Ha reso ciechi i loro occhi
e duro il lorocuore,
perché non vedano con gli occhi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano, e io li guarisca!


41Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. 42Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. 43Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio.

 44Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; 45chi vede me, vede colui che mi ha mandato. 46Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell'ultimo giorno. 49Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. 50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».


L’Evangelo secondo Giovanni è spesso paradossale, non per il gusto del paradosso, ma perché, narrando l’opera di Dio nella storia, è ben conscio che il solo dire che Dio agisce nella storia è già una parola contraddittoria perché, come direbbe Qohelet, “Dio sta nei cieli e tu, uomo, sei sulla terra” (cf. Qo 5,1) e non si devono confondere i piani.

Così, nel testo odierno, conclusione del racconto della vita di Gesù, prima della sua passione, l’evangelista proclama che, nonostante i segni compiuti da lui, i suoi contemporanei non credevano in lui e aggiunge subito dopo: “Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui”. Allora nella gente c’è nello stesso tempo incredulità e fede. Com’è possibile? Per noi infatti o uno crede o non crede.

In realtà, non è così semplice. In questo tempo pasquale abbiamo riletto diversi racconti di apparizioni del Risorto e sempre c’era un intreccio di fede e di incredulità, di gioia davanti al Vivente e di dubbio: è proprio lui? Pensiamo alla finale dell’Evangelo secondo Matteo: Gesù appare agli Undici sul monte in Galilea: “Quando lo videro si prostrarono, essi però dubitarono” (Mt 28,17), o all’ultimo capitolo dell’Evangelo secondo Luca: Gesù appare là dove sono riuniti i discepoli e si fa riconoscere, ma “poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: ‘Avete qui qualche cosa da mangiare?’” (Lc 24,41). È quanto diceva il padre del ragazzo epilettico: “Credo; vieni in aiuto alla mia incredulità!” (Mc 9,24). Non è anche la nostra esperienza?

Altro paradosso: “Non sono venuto – dice Gesù – per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” e, subito dopo: “Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto”. Allora la parola di Gesù, venuto per salvare il mondo, è condanna di chi non l’accoglie. In queste condizioni chi sarà salvato? Chi di noi, infatti, si può vantare di accogliere la sua parola? Troppo spesso – purché ci sia una punta di sincerità in noi – dobbiamo riconoscere l’abisso esistente tra le parole del Signore e ciò che viviamo. 

In realtà però, si tratta di altro: la condanna non è un atto compiuto da Gesù o da Dio, ma dall’uomo: se rifiuto di camminare nella luce, non devo lamentarmi di vivere nelle tenebre; io stesso ho scelto di starci. Così per la salvezza: se la rifiuto, la colpa non è di Dio, è mia! La parola di Gesù è salvezza; non accoglierla è starne fuori.

Infine – paradosso ancor più intrigante – lo scacco della missione di Gesù, sigillato dal “non credevano in lui” (v. 37) e da quella fede esitante mescolata a dubbio, anziché negare la rivelazione fatta da Gesù, la conferma: è il compimento della volontà di Dio. 

Scrive infatti l’evangelista: ciò avvenne “affinché si compisse la parola detta da Isaia”, conferma appoggiata da due citazioni e dal rimando alla “visione” di Gesù da parte di Isaia (v. 38, 40 e 41). Dio vuol forse essere rifiutato? No, certo, ma sceglie la “gloria” di rendersi solidale degli umani fin nei loro scacchi.

fratel Daniel