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Mondi di povertà

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Il sole sparge manciate di monete d’argento sulla superficie increspata del mar di Marmara mentre attraversiamo la triplice cinta merlata eretta dall’imperatore Teodosio a difesa della nuova Roma, la splendida Costantinopoli. È la fine del primo millennio e il piccolo monastero di san Mamante, appena restaurato dal suo nuovo igumeno, Simeone detto il Nuovo Teologo, si fa spazio a spintoni tra la folla di casupole che si accalcano in questa estrema propaggine della città.

È l’igumeno stesso ad accoglierci, con le braccia spalancate dalla vivacità dei suoi quarant’anni. Ci conduce sotto un florido pergolato e chiede elegantemente: “Perché mai siete venuti fin qui?”.

“Per chiederti che fare di fronte alla miseria di tanti uomini e donne” – risponde decisa una ragazza.

“Le cose e le ricchezze che sono nel mondo sono comuni a tutti, come la luce e quest’aria che respiriamo” – si accende Simeone – “è stata la cupidigia, entrata come un tiranno nella vita, a suddividere ciò che era stato dato a tutti in comune dal Sovrano dell’universo. Date ciò che avete, perché non vi appartiene! E dopo averlo fatto non beatevi della vostra bontà, perché chi fa parte a tutti delle ricchezze che ha messo in serbo non è in credito di alcuna ricompensa per questo; al contrario, è colpevole di averne fino a quel momento ingiustamente privato gli altri”.

“Ma non è solo una questione di soldi” – cinguetta scusandosi la ragazza – “è che questo mondo è così squilibrato da sembrare spezzettato in tanti mondi, separati da abissi di privilegi. Ho incrociato lo sguardo di un povero, uno straniero con un bambino ammalato. Dall’alto della sua dignità non mi ha chiesto nulla, e io non ho risposto nulla. Ma un pensiero mi ha colpita come un pugno nello stomaco: ‘Come posso aiutarti senza ferirti facendoti sognare un mondo che per te al momento non c’è?’”.

“Credimi, ti capisco” – si ammansisce l’igumeno – io vengo da una famiglia nobile, i miei passi hanno riecheggiato nei saloni dei palazzi imperiali che si affacciano magnifici sul Bosforo, come dèi che si sporgono dai parapetti dell’Olimpo. Hai ragione, non è solo questione di soldi, bisogna fare un passo indietro. Lasciati inchiodare da quegli occhi, lasciati trafiggere dal senso d’impotenza, e renditi conto che anche tu sei povera. Non solo perché tutto ciò che possiedi non ti appartiene ma è un dono per cui rendere grazie e da condividere, ma perché tu puoi così poco! Guarda l’abisso che separa il tuo mondo dal suo. Vedi? Una nube luminosa sale e colma impalpabile l’abisso. È la nube della tua povertà spirituale. Percepiscila, e lascia che irrighi di lacrime la tua coscienza”.

“Ho pianto, abba, ho pianto tanto, guardando le stelle”.

“Allora sei sulla buona strada, piccola mia, perché dov’è abbondanza di lacrime unita a conoscenza vera, là è impresso nel cuore il sigillo dello Spirito Santo, da cui provengono tutti i frutti di vita: la misericordia, la compassione, la mitezza, la pace, la sobrietà…”.

“Ma sento il bisogno di fare qualcosa…”.

“Una volta che il fuoco è acceso trova da sé la via per diventare incendio. Pregherai per lui, piangerai la sua miseria come fosse la tua, e imparerai a dare volentieri alla morte la tua stessa vita per i tuoi fratelli e sorelle in umanità. Non donerai più solo ciò che hai, ma ciò che sei. Sarà la necessità stessa a suggerirti il modo, scorgerai profilarsi le occasioni per tradurre in azione quello che ti arde nel cuore, e sul tuo corpo si delineeranno sempre più i tratti di quel Dio che non ha rifiutato di farsi padre, amico e fratello dei diseredati”1.


1 Le parole di Simeone il Nuovo Teologo sono tratte dalle sue Catechesi 2 e 9 (Città Nuova, 1995).