Se il tuo nemico ha fame...

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Il 17 luglio 1944, nel penultimo anno della seconda guerra mondiale, una processione di duemila prigionieri di guerra tedeschi veniva fatta marciare attraverso la piazza Rossa di Mosca. La folla, tutto intorno, osservava. Secondo la testimonianza del poeta Evgenij Evtušenko, che allora era un bambino, i marciapiedi brulicavano di spettatori, cui soldati e poliziotti facevano da cordone. La folla era composta in prevalenza di donne, donne russe con le mani arrossate dal duro lavoro, donne su cui aveva gravato e ancora gravava almeno metà del peso della guerra.

Ognuna di loro doveva avere un padre o un marito, un fratello o un figlio ucciso dai tedeschi. Fissavano lo sguardo carico d’odio nella direzione da cui la colonna di prigionieri sarebbe apparsa. Per primi apparvero i generali, che marciavano in testa alla colonna: avevano le fronti massicce sollevate, lo sguardo altero, le labbra piegate in una smorfia di disprezzo verso i loro vincitori, che evidentemente consideravano inferiori.

“Sanno di profumo, i bastardi”, disse con astio qualcuno della folla. Le donne mostravano i pugni. A un certo punto, dietro i generali, cominciarono a spuntare i soldati tedeschi, magri, non rasati, con addosso bendaggi sporchi di sangue, zoppicanti sulle stampelle o appoggiati alle spalle dei loro commilitoni. I soldati camminavano a testa bassa. Sulla strada calò il silenzio. Gli unici rumori erano il trascinarsi degli stivali e i tonfi delle stampelle.

Una donna anziana, con gli stivali tutti rotti, avanzò, toccò la spalla a un poliziotto e gli disse: “Lasciami passare”. Deve esserci stato qualcosa, in lei, che lo indusse a spostarsi da parte. La donna si avvicinò alla colonna dei prigionieri, prese dall’interno del suo cappotto qualcosa avvolto in un fazzoletto colorato, e lo scartò. Era una crosta di pane nero. Audacemente, lo spinse nella tasca di un soldato, talmente esausto che barcollava.

Al vederla, subito molte altre donne correvano verso i soldati, mettendo a forza nelle loro mani pane, sigarette, e qualsiasi cosa avessero. La compassione di una donna coraggiosa originò un vero e proprio momento eucaristico, di condivisione e di festa. Il cibo era allora molto scarso e tra la folla tutti erano denutriti. La vita cristiana si traduce anche in gesti come questo. È lo sforzo continuo di vedere il volto di Gesù in chi abbiamo intorno, anche se ha le sembianze di un “nemico”.