Sintesi dei lavori di sabato 6 settembre 2014

XXII Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
BEATI I PACIFICI
Bose, 3-6 settembre 2014
in collaborazione con le Chiese Ortodosse

Ingresso di Geserusalemme Icona fine XVI sec Museo di LhabavskSINTESI DEI LAVORI DI SABATO 6 SETTEMBRE 2014

La quarta e ultima giornata del convegno, iniziata con la divina liturgia ortodossa celebrata nella chiesa del monastero dall'archimandrita Athenagoras Fasiolo, ha previsto due relazioni conclusive di John Chrissavgis e di Kallistos di Diokleias. La prima ha proposto una lettura dell’intera serie delle beatitudini matteane, sulla falsariga dell’invocazione liturgica “per la pace del mondo intero”, che – come è stato sottolieato – “include ogni angolo della creazione di Dio, fino all’ultimo granello di polvere” consegnandolo alla responsabilità dei cristiani. La seconda, fondandosi soprattutto sull’analisi dei testi liturgici e patristici, ha messo in rilievo i vari aspetti della pace cristiana, sottolineando come in definitiva essa significhi “l’irruzione del regno escatologico nell’attuale ordine mondano” e come essa sia “rivoluzionaria” e tutt’altro che una condizione passiva. Ogni cristiano che partecipa alla liturgia eucaristica riceve il preciso mandato di “procedere in pace”, ovvero di trasmettere al mondo circostante quella pace eucaristica e quella speranza di cui lui stesso è stato colmato: “Cristo ha dato se stesso per te; ora tu sei chiamato a dare te stesso per gli altri!”. La pace “che viene dall’alto”, da Dio, ha necessarie e precise implicazioni sociali, da adempiere quaggiù sulla terra, che chiamano ciascun credente a non rimanere chiuso in sé, ma ad aprirsi al servizio e alla carità: “la dossologia deve diventare diakonia”.

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Il convegno si è poi terminato con le Conclusioni presentate da p. Michel Van Parys a nome del Comitato scientifico del Convegno, che ha fatto sintesi degli stimoli e dei contributi emersi dalle varie relazioni, sottolineando tra l’altro “lo stretto legame tra l’unità della chiesa e la pace nel mondo”, e che tutte le chiese devono “decostruire le false immagini che hanno le une delle altre”, riconoscendo nel pentimento e nella conversione (metanoia) ciascuna le proprie colpe, e che infine le chiese tutte insieme “portano una grave responsabilità nella promozione della pace in questo mondo”. Ha concluso consegnando all’uditorio, a mo’ di congedo e come stimolo di riflessione, un apoftegma dei padri del deserto che ci parla di uno dei quegli “artefici di pace” che a proprio rischio e pericolo ha continuato a sperare e ad agire:

Vi era un anacoreta, un uomo di grande discernimento, che desiderava abitare alle Celle e non trovava una cella pronta. Un altro anziano, che aveva una cella vuota, venuto a conoscenza del desiderio dell’anacoreta, lo supplicò di venire a stabilirsi in quella cella, finché non ne avesse trovata un’altra. L’anacoreta allora vi andò e vi si stabilì. Alcuni anziani del luogo cominciarono a fargli visita, come a un ospite, e ciascuno gli portava quel che poteva. Egli li accoglieva e li ospitava. Ma l’anziano che gli aveva dato la cella, cominciò a provare invidia e a dir male di lui. Diceva: “Io sono rimasto qui per tanti anni, praticando una severa ascesi, e nessuno veniva da me; questo impostore invece è qui da pochi giorni ed ecco che tutti vengono da lui!”. E disse al suo discepolo: “Va’ a dirgli: ‘Va’ via di qui, perché ho bisogno della cella’”. Ma il discepolo andò dall’anziano e gli disse: “Il mio abba chiede come stai”. Quello rispose: “Digli che preghi per me, perché ho mal di stomaco”. Ritornato da chi l’aveva inviato, il fratello disse: “L’anziano ha detto: ‘Ho visto un’altra cella e me ne vado’”. Due giorni dopo, l’anziano disse di nuovo al discepolo: “Va’ e digli che, se non se ne parte, vengo io a scacciarlo con un bastone”. Il fratello ritornò dall’anacoreta e gli disse: “Il mio abba ha saputo che sei malato; ne è molto dispiaciuto e mi ha mandato a farti visita”. Quello gli rispose: “Digli che, grazie alle sue preghiere, sto bene”. Il discepolo ritornò dal suo anziano e gli disse: “Ha detto: ‘Aspetta fino a domani e, se Dio vuole, me ne andrò’”. Giunse la domenica e l’anacoreta non uscì dalla cella. L’anziano allora prese un bastone e partì con l’intenzione di percuoterlo e cacciarlo via. Mentre stava per partire, il discepolo gli disse: “Ti precedo nel caso che si trovino là dei fratelli e ne restino scandalizzati”. L’anziano glielo permise. Il fratello allora corse avanti e disse all’anacoreta: “Il mio abba viene a trovarti e ad accoglierti nella sua cella”. Quello, vedendo l’amore dell’anziano, uscì incontro a lui e gli fece una metanìa da lontano dicendo: “Vengo verso la tua santità, padre. Non ti affaticare”. Dio allora, vedendo l’opera del giovane, mosse a compunzione l’abba che, gettato via il bastone, corse ad abbracciare l’anacoreta. Lo abbracciò e lo condusse nella sua cella, come se quello non avesse udito nulla di quanto egli gli aveva mandato a dire; quindi disse al suo discepolo: “Non gli hai riferito niente di quello che ti avevo detto?”. Quello rispose: “No”. E l’anziano, a queste parole, fu pieno di gioia e capì che l’invidia proveniva dal Nemico e così lasciò in pace l’anziano. Poi cadde ai piedi del suo discepolo e gli disse: “Tu sei mio padre e io tuo discepolo, perché grazie a quello che hai fatto, le nostre due anime sono salve”. (Detti dei padri, N 451, in Detti editi e inediti, a cura di L. Cremaschi e S. Chialà, Qiqajon, Bose 2002, pp. 190-192).

Il priore, a nome della Comunità, ha espresso un ringraziamento al Signore per questi giorni di grazia e di pace, che hanno permesso ancora una volta, nel mistero dell’incontro reciproco, di rinnovare la fiducia gli uni negli altri (v. testo integrale), e ha dato appuntamento a tutti per il prossimo anno.