Lettera agli amici - numero 3

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Natale 1973

Dopo la professione monastica dei primi sette fratelli nella Pasqua del 1973, la notizia della nascita della nuova comunità comincia a diffondersi rapidamente nella chiesa italiana (e non solo) soprattutto attraverso alcune riviste di area cattolica, che spesso assimilano frettolosamente Bose ad altre esperienze spirituali come Taizé, Spello ecc. Nell’effervescenza ecclesiale post-conciliare di quegli anni, che si intreccia a quella sociale alimentata da vari movimenti (studentesco, operaio, femminista, pacifista…), Bose diventa ben presto per molti un punto di riferimento, tanto che l’estate del 1973 vede un massiccio afflusso di ospiti. La piccola comunità è così sollecitata ad interrogarsi sulla percezione esterna della propria identità e nel capitolo autunnale opera alcune scelte chiarificatrici. In primo luogo la scelta di conservare la possibilità di una relazione umana autentica tra i suoi membri e gli ospiti, evitando che l’afflusso di persone assuma «dimensioni di folla». In secondo luogo la scelta di esplicitare la fisionomia specifica della propria esperienza spirituale: Bose non intende essere un generico «luogo di preghiera», ma una comunità che «aiuta a scoprire la parola di Dio e successivamente a pregarla». Senza il fondamento della Parola la preghiera può infatti diventare alienante e distogliere dall’impegno che gli ospiti sono chiamati a offrire anzitutto nelle loro chiese locali, nelle parrocchie e nelle associazioni. Ma questo impegno non può dirsi fedele alla Parola se non si riversa anche «nelle lotte politiche, sindacali e sociali di liberazione degli oppressi». Con lungimiranza la lettera coglie su questo versante «un ripiegarsi di nuovo verso lo spiritualismo» e rammenta che la preghiera «è anche il momento in cui Dio ricorda le esigenze della giustizia e della liberazione» nei riguardi dei fratelli emarginati e oppressi. Anzi, è proprio quando nell’impegno sociale e politico si avverte una maggiore stanchezza che i cristiani devono essere fermento di speranza, senza neutralismi opportunistici e auto-conservativi che, come dimostra il caso cileno del golpe messo in atto l’11 settembre 1973 dal generale Pinochet, si risolvono sempre a favore dei potenti di turno. 



Cari amici ed ospiti, 

passati ormai l'estate e l'autunno, tempi di intensa accoglienza e di passaggio di molti di voi a Bose, vi scriviamo dalla calma e dal silenzio invernali.

Vorremmo, con queste parole, comunicare con voi e tenere vivo il legame stabilito. E abbiamo deciso di farlo manifestandovi oltre che la situazione e il cammino della comunità anche ciò che e emerso dal consiglio di ottobre, consiglio cui erano presenti tutti i fratelli e tutte le sorelle della comunità.

Innanzitutto alcune notizie riguardanti la nostra vita. Dopo gli impegni definitivi assunti da alcuni di noi nella Pasqua passata, abbiamo accolto con gioia l'entrata liturgica di due nuovi fratelli, Paolo e Guido. Guido è in Svizzera con Daniel nella fraternità di St. Sulpice dove si continua il lavoro di servizio alle chiese locali cattolica e protestante con notevoli risultati, e si cerea di intensificare il lavoro tra gli immigrati, mentre si prosegue

la vita di preghiera e di accoglienza di quanti chiedono ospitalità. Paolo invece resta a Bose in attesa dell' assunzione al posto di lavoro ad Ivrea.

È stato questo tempo di fine autunno, un tempo intenso e ricco di incontri e di scambio tra la nostra comunità ed altre. Certo l' amicizia con quanti cercano di dare un nuovo volto alla vita religiosa riformandosi secondo l'Evangelo si accresce e nel cammino ci si sente meno soli e comunque non più isolati.

Coi trappisti di Bellefontaine si è iniziata inoltre una collaborazione in una ricerca spirituale sulle fonti della vita religiosa, mentre con i monaci dell'Athos si sono approfonditi contatti attraverso un viaggio che cinque fratelli di Bose hanno compiuto nuovamente alla santa montagna. Ora ci prepariamo al Natale nella gioiosa attesa del Signore che viene, continuando la nostra vita fedele alla preghiera e al lavoro che ciascuno svolge in mezzo agli uomini. Ma vorremmo farvi conoscere anche alcune prese di posizione decise nel capitolo autunnale e riguardanti il prossimo anno che inizia.

La comunità e stata costretta a constatare che vi è stato un grande aumento di ospiti e di gruppi che si fermavano alcuni giorni in comunità e questo fenomeno in parte ci preoccupa perché oltre alle difficolta materiali che ci si presentano a causa della povertà delle nostre case ci impone una visibilità che noi non cerchiamo. E in questa prospettiva che la comunità ha deciso di non accettare più di un certo numero di persone che renda possibile un contatto autentico con la comunità e che non assuma dimensioni di folla. Bose non è chiamata a diventare una Woodstock cristiana! Nè vuole diventare un luogo romantico di preghiera col rischio di sottrarre forze alle chiese locali che tanto abbisognano in questo momento di presenza assidua e di impegno da parte dei cristiani. Certo, purtroppo, lo diciamo chiaramente, questo rischio lo corriamo a causa delle riviste che parlano continuamente di noi, senza mai chiederci il permesso, assimilandoci alle altre esperienze spirituali come Taizé, Spello, ecc. Questo ci rincresce enormemente e chiediamo agli ospiti di non aiutare questo processo credendo di esaltare Bose. Noi abbiamo rispetto di queste altre comunità ma ci teniamo a dire che siamo diversi, perché una strada diversa è stata scelta da noi fin dall'inizio con chiarezza di vocazione e di carisma.

Bose non è un luogo di preghiera ma è una comunità che prega in mezzo agli uomini. Non ci preoccupiamo di insegnare a pregare perché nessuno di noi è un maestro spirituale ma lo sforzo che si compie a Bose è piuttosto quello di aiutare a scoprire la parola di Dio e successivamente a pregarla.

Altrimenti la preghiera, non sostenuta dalla scoperta della Parola, diventa romantica, esoterica, alienante quando addirittura non diventa magica.

Bose non è un luogo in cui gli ospiti sono chiamati a "fare qualcosa" ... no! È nelle chiese locali, di cui noi abbiamo grande rispetto e in cui fermamente crediamo, che i cristiani debbono impegnarsi e debbono agire. Per questo abbiamo sempre respinto inviti a "fare qualcosa a Bose".

A Bose gli ospiti devono venire per una sosta in disparte, per un confronto con la parola di Dio, per un esperimento di vita comunitaria, un tempo di più intensa preghiera sulla parola di Dio o per ritiri spirituali.

Ci sono, perciò, settimane bibliche organizzate durante I'anno, ci sono ricerche sui problemi del mondo e delle chiese ma tutto questo per aiutare i cristiani di tutti i giorni, per confermarli nella fede, affinché nel loro quotidiano vivere in parrocchia o in comunità di base si impegnino e lavorino.

Bose non deve diventare un luogo nostalgico o un modello dei cristiani.

Il cristiano è chiamato e destinato alla chiesa locale e Bose non è una chiesa locale tantomeno una nuova chiesa. Anzi la stessa comunità si colloca in una chiesa locale e svolge servizi a questa. E poi Bose, rispetto alle altre comunità suddette è diversa quanto a struttura interna quanto a metodo di affrontare le realtà umane, e quanto a modo di presenza tra gli uomini.

Pensiamo ancora di dover dire una parola per due iniziative che potranno coinvolgerci nel prossimo anno: l'Anno Santo indetto dalla chiesa cattolica e il Concilio dei Giovani aperto a Taizé.

Noi ci rallegriamo di questo evento dell'Anno Santo: non è forse un invito alla riconciliazione autentica tra tutti i cristiani? Un invito a riconciliarci tra poveri e ricchi, togliendo i beni ai ricchi e dandoli ai poveri come canta il "Magnificat"? Non è forse un invito alla conversione innanzitutto, perché senza cambiamento di vita, la riconciliazione diventa un "embrassons nous" superficiale folkloristico e mistificante? Cambiamento di vita e del modo di porsi di fronte alle esigenze dell'Evangelo da parte delle autorità delle chiese come da parte dei semplici cristiani? Non è I'anno santo un invito ad abbattere le barriere innalzate dalle chiese tra loro e gli altri uomini? Non e forse un bisogno di dare posto nella chiesa ai differenti carismi, alle diverse posizioni teologiche? Così ci pare essere l'anno santo secondo la sua tradizione biblica il tempo di remissione dei debiti, di condivisione della terra che resta di proprietà di Dio! In questa luce la comunità sta preparando una risposta alla lettera pastorale di p. Giovanni Franzoni inserendosi nel dialogo che tale documento ha avviato.

Circa il Concilio dei Giovani noi chiediamo a quanti vi partecipano di rispettare la nostra posizione e la nostra maniera di porci nella chiesa non facendo di Bose un luogo di spola con Taizé ... nient' altro!

Infine alcune osservazioni che si impongono perché oltre che cristiani siamo anche uomini che partecipano alla vita del mondo nel lavoro e nell’impegno di liberazione. Viviamo un tempo difficile dove le speranze dei poveri che avevano fatto capolino negli anni ’60 ora si affievoliscono e vengono a mancare. Si nota un assenteismo e un ripiegarsi di nuovo verso lo spiritualismo e non un vivere la vita secondo lo Spirito. Molti si rallegrano e parlano di rinascita della preghiera ma noi diffidiamo di questo nuovo corso troppo romantico, poco impegnato e poco esigente.

Se all'inizio del '70 dovevamo ricordare ai cristiani, impegnati nelle lotte politiche, sindacali e sociali di liberazione degli oppressi, la necessità della preghiera per continuare a sentirsi figli di Dio capaci di invocarlo quale Padre, oggi ci sentiamo invece di chiedere ai cristiani tesi a vivere la rinascita delta preghiera: «Che ne fate dei vostri fratelli? degli ultimi? ».

Certo sembra che i cristiani non siano capaci di amare nello stesso tempo Dio e gli uomini; per questo oggi insistiamo che I'oscillazione tra Dio e gli uomini e sempre falsa. Come Dio ci ha liberati.. noi dobbiamo liberare gli altri. La preghiera senza prassi è alibi ed alienazione: solo se dimostriamo di sapere e volere liberare gli altri possiamo dirci liberati e salvati. L'incontro con Dio nella preghiera avviene nella lode e nel ringraziamento ma è anche il momento in cui Dio ricorda le esigenze della giustizia e della liberazione, la responsabilità della custodia e del servizio ai fratelli. Nella preghiera Dio ci dice: «Fa' agli altri ciò che io ho fatto a te ».

Proprio in questo periodo in cui si avverte nel mondo una stanchezza generale, in cui i gruppi politici ed ecclesiali patiscono crisi, paralisi e sbandamenti, i cristiani devono essere portatori di una speranza capace di tradursi nonostante le difficoltà in impegno e in prassi. I cristiani badino di non assumere posizioni ed atteggiamenti quali si sono colti nel Cile dove la gerarchia ed i gruppi cattolici hanno avallato e sostenuto la democrazia cristiana e dietro ad un apparente assenteismo e neutralismo, in realtà hanno rafforzato l'ingiustizia e la violenza da parte del potere in nome di una sterile e vuota auto-conservazione.

In questa situazione ci paiono segni di speranza sia il convegno di Bologna "Cristiani per il socialismo" sia il convegno di Torino "Cristiani per il Vietnam". Nella misura in cui emergono nuove maniere di prassi dei cristiani nella politica, prassi senza ombra di integralismo, ma prassi liberante l’uomo dalla schiavitù del capitale e dal potere borghese e si individueranno nuove forme di porsi di fronte ai regimi violenti, veri strumenti di dominio sui poveri ed oppressi, forse i cristiani riusciranno ad essere capaci di giustizia e credibili nell'annuncio del messaggio evangelico.

E così chiudiamo questa comunicazione con voi, ringraziandovi per quel che siete per noi, vero aiuto e sostegno della nostra vocazione. E credete cari ospiti, con voi vogliamo comminare verso il Regno e il Signore che viene nella fedeltà alla terra e alle chiese che ci hanno generato a Cristo.

State allegri e la pace sia con voi nella preghiera, nell'impegno di liberazione in tutto quel che fate e vivete! 

I fratelli e le sorelle di Bose