L’equilibrio del lavoro

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Il lavoro è un modo di vivere la povertà perché si tratta di guadagnarsi il necessario con le proprie mani, altrimenti si finisce per vivere una vita di mollezze e comodità, mantenuti da chi fa doni ed elargizioni, magari sublimate ipocritamente come “Provvidenza”. La serietà della vita di lavoro è anche spesso il linguaggio capace di comunicare con le persone più semplici e di creare una simpatia e una base di comprensione con tante persone, comprensione che si situa sul piano prettamente umano. Questa serietà sul lavoro è fondamentale per evitare la decadenza di una vita monastica.

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Uno sguardo decentrato da sé

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Un grave rischio che paralizza la vita spirituale è quello di chiudersi in sé, di avere come centro e fine del proprio pensare e agire solo se stessi. Di non avere occhi che per se stessi. Di avere come oggetto di interesse e di discorso solo se stessi o la propria piccola cerchia di persone con cui si è in relazione, o al massimo la comunità, mentre esiste una marea di problemi enormi dell’umanità oggi, a cominciare dagli ospiti che vengono da noi e che cercano luce, senso, o almeno un momento di respiro da una quotidianità pesante e spesso invivibile.

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L’umiltà è lo Spirito santo

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A Pentecoste noi contempliamo la presenza di Cristo che si fa interiore e intima al cristiano attraverso lo Spirito santo. E questa inabitazione dello Spirito nel credente produce, come ricorda la tradizione monastica, l’umiltà. “L’umiltà è lo Spirito santo”, afferma Isacco di Ninive, è il segno della presenza dello Spirito.

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