La dinamica della custodia

Fratelli, sorelle,

la nostra Regola afferma:

“Tu hai tu scelto di vivere la comunità e il celibato con dei fratelli e delle sorelle di cui essere custode” (RBo 4). E altrove: “Tu sei custode dei tuoi fratelli” (RBo 13).

La vocazione monastica è vocazione a divenire custodi del fratello. Essere fratelli, essere sorelle, in comunità è essere custodi degli altri ma anche accettare di lasciarsi custodire dagli altri. Infatti, dice ancora la Regola: “Ama i tuoi fratelli, che Dio ti ha dato come primi custodi” (RBo 2). E in che consiste la custodia? Custodire è cercare di mantenere nel bene la vita dell’altro, cercare di volere la vita e il bene dell’altro, volere che viva e sia nella gioia, volere che lui sia lui, sia soggetto, sia libero. Questo è custodire.

Non è nulla di statico, come il verbo custodire potrebbe far pensare, anzi esige un lavoro su di sé, non sugli altri; esige che si impari ad ascoltare, a conoscere, ad avvicinarsi all’altro, ad accompagnare la modalità di essere dell’altro; esige che, in certo modo, si intuisca in profondo il cuore dell’altro, che lo si accetti, non lo si giudichi, per divenire per lui una presenza positiva. Non è facile questo e spesso qui noi sbagliamo. Che cosa occorre per entrare in questa custodia? Anzitutto dare importanza all’altro, fargli spazio, che è il senso proprio – lo sappiamo bene - del celibato. E con infinita, quotidiana pazienza ascoltare per cercare di sentire in noi quello che sente lui, essere attenti a lui.

E poi, certo, significa lo sforzo della mente e del cuore a credere che il fratello e la sorella è un dono; quel fratello e quella sorella che io non ho scelto, come loro non hanno scelto me, sono doni del Signore: “Dio ti ha dato come primi custodi i fratelli”. Spesso non riusciamo a percepire la positività della presenza dell’altro, ma qui va ricordato che questa custodia è anzitutto un richiamo a un lavoro su di noi, un’apertura a una grazia, all’azione dello Spirito che ci può convertire, che può cambiare il nostro cuore e il nostro sguardo e portare a vedere l’altro – che ci può suscitare fastidio, antipatia, o che ha ostilità – come un dono. Si tratta di arrivare a cambiare questi atteggiamenti in atteggiamento di stupore, di riconoscenza, di eucaristia.

Noi facilmente sfuggiamo la custodia dell’altro, come avvenne a Caino nei confronti di Abele: ma allora smentiamo di essere fratelli. Non si tratta di cercare la simpatia, l’affinità, di piacersi, ma prima e al di qua di tutto questo, di assumere la responsabilità verso l’altro. Oggettivamente. Ed essere custodi del fratello è divenirne responsabili, accettare che anch’essi sono responsabili nei nostri confronti. Responsabilità che si manifesta molto semplicemente, quotidianamente in parole e gesti, in piccole attenzioni quotidiane, nel cercare l’edificazione del fratello, di non ferirlo, di rispettarlo, di farsi vicino senza invaderlo. E poi, osare anche – e questo pure è custodia – una correzione e anche accettare una correzione. In una parola, ed è ciò in cui si sintetizza la custodia dell’altro: si tratta di cercare di amarlo. “Ama i tuoi fratelli che Dio ti ha dato come primi custodi. E amarli ti porta a divenirne tu stesso custode”.

Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e rinnovando ogni giorno il lavoro di farci custodi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. E tu, Signore, abbi pietà di noi.

fratel Luciano