Bruno Martinazzi è andato avanti, nella pace

Lo scultore Bruno Martinazzi
Lo scultore Bruno Martinazzi

La notte tra il 14 e il 15 luglio lo scultore Bruno Martinazzi è entrato nella luce senza fine… oltre la terra, finalmente tra le stelle, secondo alcune parole che amava ricordare: “superata tellus, sidera donat” (Boezio, De consolatione philosophiae).

Nato il 10 dicembre 1923, artista di fama internazionale (la pietra e l’oro i suoi materiali preferiti) con esposizioni più in Europa e negli Stati Uniti che in Italia, amico e frequentatore da molti anni della nostra comunità, con la moglie Carla e la figlia Paola, non era immediato discernere la sua grandezza, perché il suo tratto era la riservatezza e la mitezza. Pensando a Bruno, riemergono parole ferite, cadute oggi in disuso, eppure fondamentali e intramontabili: riserbo, delicatezza, innocenza, discrezione, schivo, ritrosia… 

Dotato di una grande lucidità di visione delle cose degli uomini, e degli avvenimenti della storia e dell’attualità, nelle conversazioni la sua voce era limpida, ma sempre come venata di un pianto dolce e di fiduciosa attesa. “Vivere, essere, volere bene” aveva intitolato la mostra all’Accademia Albertina di Torino per i suoi novant’anni.

Pervenuto a una sintesi nella pace della sua lunga vita, era mosso in realtà da correnti profonde di passione e d’impegno, come emerge dalle sue opere per le lotte operaie del ’68 e per le marce studentesche di Berkeley, fino al “Monumento contro le guerre” (1984) e a “Dov’è Abele il fratello tuo?”, scultura installata nel 2005 a Torino, lungo il Po, ai Murazzi, su un percorso per non vedenti. Ancora ultimamente diceva: “La pace è inventare modi di unire quello che è diverso… La riflessione sulla violenza ha accompagnato tutto il mio percorso e l’ho respirata fin da bambino, la guerra è solo sofferenza e dolore, non è soluzione ai problemi che vuole risolvere!”.

Aveva un acuto senso della bellezza, a partire dal dettaglio evocatore del tutto (una mano, un dito, una schiena, l’occhio, le labbra…), eppure c’era sempre all’interno della “sua” bellezza un fremito d’inquietudine, non solo sicurezza e ordine: “Ho cercato ad un certo punto il volto del Dio di Giacobbe, Giacobbe che lotta con Dio, che gli chiede “Come ti chiami?” e non ha risposta, eppure riceve la sua benedizione… Lottare contro l’indicibile, mi sembra questo il compito!”

In questi ultimi anni, Bruno ripeteva che l’addio si accompagna sempre a un atteggiamento lieto dell’animo: “Le opere che ho fatto con le mie mani sono il tentativo di rispondere a tante domande. L'uomo, la terra, la vita, sono solo una cantata, un canto che ci accompagna dal principio, quando l'uomo pianse per la prima volta, quando creò bellezza dal pianto e divenne umano”.

Bruno Martinazzi, Epiclesi, Monastero di Bose
Bruno Martinazzi, Epiclesi, Monastero di Bose
Alcune sue sculture, collocate a Bose all’indomani della retrospettiva “Dalla meditazione alla forma” che abbiamo ospitato nell’ottobre-novembre 2000, ammirate dalla comunità, da amici e ospiti, narrano l’arte, la ricerca e la speranza di Bruno, e sono memoria di un uomo eccezionale nella sua ferialità, di un artista universale, di un amico autentico e indimenticabile. “Epiclesi”, l’opera adagiata sull’erba lungo il breve tratto che sale verso l’ingresso della chiesa monastica ecumenica di Bose, è incrocio di sguardi verso il cielo, perenne invocazione di pace, fraternità, bellezza.

A Carla e Paola amatissime, e a tutti quelli che gli vogliono bene va la vicinanza affettuosa e il ricordo orante della nostra comunità.