Venerdì santo
E qui, va detto, è proprio su questo male banale, assoluto che Gesù ha detto la sua ultima parola, che non è semplicemente di perdono: stiamo attenti, stiamo attenti! Gesù non ha detto semplicemente: “Padre, perdona loro perché hanno fatto del male”. Sarebbe già un grande gesto, ma quello siamo capaci anche noi di farlo. Gesù ha detto qualcosa di più: “Padre, perdona loro perché non sanno né quello che dicono né quello che fanno” (cf. Lc 23,34). Questa è la nostra realtà: non sappiamo né quello che diciamo né quello che facciamo. Certo, questo perdono che il Signore ci dà attraverso la misericordia di Dio non può essere per noi auto-giustificazione, ma un appello a sapere quello che facciamo, a sapere quello che viviamo, a sapere quello che sentiamo. Venerare la croce, adorare il mistero della passione e morte del Signore ci deve far giungere a un’assunzione di responsabilità, a una resistenza al non sapere; in caso contrario, anche la celebrazione della passione è un esercizio estetico, patetico, una rappresentazione teatrale religiosa che ogni anno si rinnova nella settimana santa e nella quale investiamo anche dei sentimenti di dolore e di sofferenza. No, Dio ci dà il perdono, ce lo dà in Gesù Cristo, ma noi dobbiamo percepire che il Cristo che sta davanti a noi come destinatario del male che quotidianamente facciamo è colui che noi incontriamo, è il nostro prossimo, è lui in croce: il malato, l’affamato, il perseguitato, lo straniero, l’uomo bisognoso (cf. Mt 25,31-46), il peccatore, quello che è la piccola vittima del nostro vivere quotidiano senza gli altri e contro gli altri. Occorre sapere, occorre conoscere in questo modo, e saremo preservati da quello che papa Francesco chiama la pretesa gnostica ecclesiastica, una pretesa di conoscere tutto a livello ecclesiastico e di non discernere invece la realtà di Cristo nella vita degli altri.
Una delle cose straordinarie, che un tempo veniva percepita all’interno della chiesa, anche prima del Concilio, è che il venerdì santo per la gente semplice era semplicemente il giorno del perdono. Si chiamava così: il giorno del perdono. Si andava ad adorare la croce per ottenere il perdono: non si diceva altro, eppure era l’essenziale. Più tardi ho scoperto che davvero il venerdì santo è lo Jom Kippur dell’Antico Testamento e dell’ebraismo che prosegue nell’Israele fratello gemello, che sta accanto a noi. Giorno del perdono: chiediamo il perdono, ma assumiamo tutta la nostra responsabilità, perché siamo noi, ciascuno di noi, quelli che non sanno ciò che fanno e non sanno ciò che dicono.
Bose, 29 marzo 2013
Omelia di ENZO BIANCHI