A piccoli passi verso la barbarie
di ENZO BIANCHI
Saremo capaci di un soprassalto di dignità umana e di etica democratica? Sapremo riscattare il senso alto della politica, oggi pesantemente affetta da una malattia autoimmune di svilimento?
La Stampa, 18 ottobre 2009
Più volte l’abbiamo ribadito su queste colonne e con forza l’abbiamo affermato in più occasioni: ci stiamo dirigendo a piccoli passi verso la barbarie. In questi ultimi tempi l’andatura è sempre più accelerata e l’emergenza di alcuni fattori deleteri ci porta a riconoscere che ormai ci troviamo in una barbarie diffusa: non si tratta solo di assenza o debolezza della cultura, ma di una ferita alla civiltà inferta dall’affermazione di comportamenti indegni dell’uomo che non cercano la qualità della convivenza ma la oltraggiano. Assistiamo non allo scontro di civiltà profetizzato da Huntington, né alla fine della storia ipotizzata da Fukuyama ma, in modo più tragicamente banale, al piombare in un’epoca oscura, in cui è minacciata di sparizione la stessa democrazia. Quest’ultima, infatti, non può sussistere in una società in cui si disprezza la politica, cioè la gestione del bene comune, in cui non si avverte più come necessaria alcuna convergenza sull’orizzonte di senso della polis.
Nel Salmo 14 vi è un’amara constatazione: “tutti sono corrotti, nessuno fa il bene!”: grido tragico perché, se da un lato può essere denuncia di una situazione reale contingente, d’altro lato può attestare la presenza di una pandemia etica che dilaga e che perverte la natura stessa della convivenza civile. La violenza, l’aggressione innanzitutto verbale non è forse un habitat al quale oggi assistiamo attoniti, in un’impotenza a fare qualcosa che ci rende tristi e amareggia i nostri giorni? Basta accendere la televisione – cosa che personalmente mi capita assai di rado e solo fuori casa – per assistere a talk-show in cui si misura da subito il sistematico non ascolto dell’altro mentre il tono di voce gridato copre ogni opinione e passa sovente al disprezzo e all’insulto che negano l’altro nella sua soggettività e dignità. Così i telespettatori si abituano progressivamente ad assumere come propri nel quotidiano quegli atteggiamenti aggressivi. Questi divengono così la modalità consueta dei rapporti in famiglia, sul lavoro, nei luoghi di incontro: tutti si sentono non solo autorizzati, ma incoraggiati alla rissa, all’aggressione, al dileggio delle regole comuni. I ragazzi e i giovani, invece di essere contenuti e corretti nelle intemperanze proprie dell’età, di essere condotti alla consapevolezza di limiti e di freni essenziali e decisivi nei rapporti e nella comunicazione, si sentono stimolati a emulare i modelli di comportamenti incivili offerti dagli adulti: se incrociano un senzatetto lo scherniscono quando non lo malmenano, alla vista di una persona di colore partono insulti e sputi, gli immigrati sono oggetto di minacce e di intimazioni a tornarsene a casa loro...
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