Alla voce indegnità

Sì, anche l’uomo che ha perso la forma, i “connotati” propri, la persona che ha assunto l’indegnità, richiede di essere rispetto, richiede che si riconosca in lui la dignità umana. Potremmo accostare a Edipo anche la figura biblica di Giobbe, sfigurato dalla disgrazia e dalla sofferenza, o intere categorie di “senza dignità” che già l’Antico Testamento chiedeva di riconoscere e difendere proprio per la loro condizione inerme: lo schiavo, lo straniero, l’orfano, la vedova, l’oppresso... Accanto a loro, anzi quasi come loro emblema appare il “senza dignità” per eccellenza, quel “servo di IHWH” cantato dal profeta Isaia, uomo senza forma, aprosopon “senza volto”, disprezzato, deriso, reietto, “tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo”: ebbene, anche o forse soprattutto un “uomo senza qualità” come questo conserva una dignità che chiede di essere rispettata. Anzi, potremmo dire che fonda la ragione stessa del rispetto della dignità umana. Ogni persona ha infatti diritto al rispetto della propria dignità non per ragioni religiose, non per solidarietà obbligante, ma semplicemente perché ridotto a nulla: l’essere umano sfigurato genera la dignità in chi gli sta di fronte e accetta di incontrarlo, di assumere il peso di un’umanità avvilita, sprovvista dei tratti caratteristici di quella che siamo soliti considerare “dignità”.

Pubblicato su: La Stampa