Fedeli al futuro!

Laurent SCHLUMBERGER, presidente del consiglio nazionale della chiesa protestante unita di Francia
Laurent SCHLUMBERGER, presidente del consiglio nazionale della chiesa protestante unita di Francia

Pastore LAURENT SCHLUMBERGER
presidente del consiglio nazionale
della chiesa protestante unita di Francia

Pubblichiamo qui – in versione quasi integrale – il messaggio pronunciato dal presidente del consiglio nazionale della chiesa protestante unita di Francia (nata, dopo un processo durato vari anni, dalla fusione della chiesa riformata di Francia con la chiesa luterana di Francia) durante il primo Sinodo nazionale di questa chiesa, tenuto a Lione dall’8 al 12 maggio 2013. Un testo dal sapore profondamente evangelico e dal tono genuinamente ecumenico, che può ispirare ogni chiesa nel suo quotidiano cammino di fedeltà all’evangelo e di ricerca della comunione ecclesiale. Centrato su una fondamentale fiducia nel futuro, “una fiducia scelta da Dio”, che diviene “una fiducia ricevuta, una fiducia che fa vivere, una fiducia che impegna”, questo testo incoraggia ogni chiesa cristiana a “rimettere ogni cosa al Dio vivente, affidarsi a lui, abbandonarsi alla fiducia che in lui ha la sua sorgente”.

 

11 maggio 2013

Fedeli al futuro!

Fratelli e sorelle, membri del Sinodo nazionale,
signor ministro,
signori parlamentari,
signore e signori, rappresentanti eletti della società civile e dei culti,
fratelli e sorelle delle organizzazioni ecumeniche e delle chiese sorelle, provenienti da oltre i confini nazionali e confessionali,
fratelli e sorelle protestanti e protestanti evangelici,
fratelli e sorelle provenienti dalle parrocchie, dalle chiese locali, dalle regioni della chiesa protestante unita,

Oggi è sabato. Tra venerdì e domenica, che ci ricordano il venerdì santo e la domenica di Pasqua, giorni fondatori. Oggi è sabato. Tra lo stallo della croce, incomprensibile, e nuovi cammini ancora impensabili.
In qualche modo, la chiesa si trova in questa situazione. In questo sabato, che concentra e abbraccia tutta la storia umana. In questo sabato, in cui i discepoli sono introvabili e solo poche donne preparano un’imbalsamazione, un’imbalsamazione che alla fine non avrà luogo.

La chiesa è in questa situazione, in questo frattempo, in cui tutto è come sospeso. Tra le sue speranze deluse e la promessa già all’opera. Tra ripiego amaro e fiducia possibile.

E deve sempre lasciarsi di nuovo convertire dallo Spirito del Dio vivente. Perché ciò che ritiene essere una situazione di stallo è proprio l’apertura. Ciò che considera lo scacco finale è l’inizio della sua missione.

Sabato lo è ogni giorno, quando nulla sembra possibile agli uomini e tutto è possibile a Dio. Ed è per questo che celebrare la nascita della chiesa protestante unita di Francia questo sabato, non può avere che un solo significato: rimettere ogni cosa al Dio vivente, affidarci a lui, abbandonarci alla fiducia che in lui ha la sua sorgente.

La creazione della chiesa protestante unita è l’affermazione di questa fiducia fondamentale, vitale. Non è il risultato di chissà quale abile strategia, ben calcolata. Non sarebbe altro che quella specie di falsa fiducia di cui si sente tanto parlare, simile all’autosuggestione, che viene invocata nelle sale dei mercati finanziari o nelle scuole di management, che altro non è se non la sola fiducia in se stessi, nelle proprie forze e capacità, e che quindi in fondo altro non è che sfiducia nei confronti degli altri.
La fiducia di cui sto parlando è la fiducia che Dio ha scelto, una volta per tutte. E questa fiducia scelta da Dio è per noi una fiducia ricevuta, una fiducia che fa vivere, una fiducia che impegna.

*


 

Si tratta di una fiducia ricevuta.
Se siamo ciò che siamo oggi, lo dobbiamo prima di tutto agli altri. Naturalmente, non si può dimenticare tutto il paziente lavoro che ci ha portato a questo sabato 11 maggio. Lo sforzo è stato multiplo; il compito, considerevole […].
Ma se siamo stati in grado di portare a buon fine questo lavoro, è perché noi siamo stati “lavorati”, più di quanto noi stessi abbiamo lavorato. È perché stiamo stati “agiti”, se così posso esprimermi, più di quanto noi stessi abbiamo agito.
La chiesa protestante unita è un frutto del movimento ecumenico. Nel 1910, la conferenza di Edimburgo invitò a mettere in primo piano la missione della chiesa e, al tempo stesso, a relativizzare le identità confessionali. Nel 1934, la Dichiarazione di Barmen ha unito luterani e riformati per affermare l’autorità suprema di Gesù Cristo solo, contro l’idolatria nazista; con la linfa della chiesa confessante, ha irrigato tutto il protestantesimo del dopoguerra soprattutto in Francia. Nel 1948, la fondazione del Consiglio ecumenico delle chiese ha posto la ricerca dell’unità visibile al cuore della vita delle chiese. Nel 1962, il concilio Vaticano II ha mostrato come la speranza ecumenica  poteva trovare eco all’interno la chiesa più importante e trasformarla, mentre molti la credevano immobile e immutabile. Nel 1973, la Concordia di Leuenberg ha proposto una modello di unità basato non più sull’uniformità e sulla diffidenza nei confronti delle originalità, ma al contrario sulla diversità riconciliata.

Attraverso questa storia, è lo Spirito del Dio vivente che è all’opera. Noi che eravamo lontani gli uni dagli altri e talvolta anche antagonisti, siamo stati resi prossimi. Abbiamo fatto l’esperienza di essere riconciliati dal Cristo, che è la nostra pace. In lui, Dio per primo ha fatto questa scelta della riconciliazione. L’ha fatta una volta per tutte, e tesse di nuovo ogni giorno la scelta della fiducia, la scelta della fede. La fede di Gesù Cristo è la fede che ci è donata.

Pertanto attestiamo che è bene fare fiducia all’altro. Rifiutiamo le posture identitarie, che derivano dalla paura e dall’illusione, la paura dell’altro e l’illusione che si potrebbe esistere senza di lui o contro di lui.

Questo è vero tra i cristiani ed è per questo che confessiamo che la nostra chiesa e ciascuna chiesa è uno dei volti – solo uno dei volti – dell’unica chiesa di Cristo. E ci rallegriamo della pluriappartenenza ecclesiale di alcuni cristiani, che manifestano così che l’evangelo supera i confini confessionali e le frontiere culturali.
Rifiutiamo anche le posture identitarie in campo sociale. Naturalmente si possono capire le radici di queste paure e di queste illusioni, radici a volte ben reali, e tanto spesso coltivate e strumentalizzate. Ma non possiamo rassegnarci né a lasciare che si espandano, né semplicemente a dispiacerci dei loro effetti nefasti. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. La nostra società, rosa dalla sfiducia, ha bisogno di questa ospitalità fondamentale. È da ingenui affermarlo? Al contrario, è profondamente realistico. Nessuno di noi sarebbe qui se lui stesso non fosse stato accolto, al momento della sua nascita e più volte nella sua vita. Quindi se siamo chiamati a vivere un’ospitalità fiduciosa, specialmente verso gli umiliati, verso coloro che vengono designati così facilmente e alla leggera come dipendenti, incapaci, fragili, assistiti, perdenti di qualsiasi tipo, non è per dovere; è per lucidità e per gratitudine.

La fiducia è sempre, prima, ricevuta. Essendo ricevuta, può dar vita alla gratitudine e quindi alla fiducia condivisa. Celebrare la nascita della chiesa protestante unita significa attestare questa fiducia ricevuta. Ricevuta da Dio e manifestata in Gesù Cristo.

*


 

Questa fiducia ricevuta è poi una fiducia che fa vivere.
E vorrei soffermarmi per un momento sulle significative trasformazioni che il nostro protestantesimo sta vivendo proprio in questo momento, e di cui la cui creazione della chiesa unita è un segno.

Dalla loro prima apparizione e per cinque secoli, essere protestanti in Francia ha significato non essere cattolici. I protestanti hanno costituito una sorta di alternativa ultraminoritaria al culto dominante. Questo per loro disgrazia, dato che avveniva in tempi di persecuzione. Ma per loro orgoglio, quando venivano identificati dalla parte del progresso, della Repubblica o della laicità. E questo ha costituto una risorsa identitaria inesauribile e, di fatto, confortevole: il protestantesimo viveva in qualche modo appoggiato contro il cattolicesimo. Ha dunque sviluppato un modo di essere chiesa adattato a questo contesto. Si è autocompreso come un piccolo gregge, per riprendere un’immagine biblica. Un piccolo gregge capace di aiuto reciproco, che tesseva forti solidarietà interne, che amava i marcatori discreti e visibili solo da parte degli iniziati, che verificava regolarmente la propria fedeltà. Questo modo di essere chiesa, allora pertinente, gli ha permesso di attraversare le prove e i secoli.

Ma questo mondo è cambiato. È addirittura scomparso. Le istituzioni religiose sono ormai marginali, le convinzioni sono individualizzate, le affiliazioni sono fluttuanti. Dal 2008, le persone atee e agnostiche dichiarate costituiscono la maggioranza in Francia. Il cattolicesimo, naturalmente, ma anche l’insieme cumulativo dei culti rappresenta sempre più una minoranza. Il protestantesimo francese quindi non può più esistere appoggiandosi contro un altro culto. Non c’è da dispiacersene. È così. Ed è probabilmente la chance di trovare un nuovo modo di essere chiesa, un modo pertinente a questo mondo.

Ecco la nostra grande sfida per questa generazione: integrare questo completo rovesciamento di ciò che noi siamo stati per lungo tempo, per essere fedeli oggi e domani all’evangelo che abbiamo ricevuto, al nostro modo di comprenderlo e di condividerlo. Per il nostro protestantesimo, si tratta di passare dalla connivenza alla condivisione, dall’inter nos all’incontro, da una chiesa che si stringe nelle spalle a una chiesa che apre le sue braccia. Da una chiesa di membri a una chiesa di testimoni.
Questo cambiamento non è a venire, è già in corso, e vi siamo già coinvolti. Molteplici segni lo indicano […] Ciò che possiamo percepire in tutti questi mutamenti in atto nel piccolo protestantesimo francese luterano e riformato – mutamenti più radicali di quanto spesso non pensiamo – è una fiducia all’opera. Una fiducia ricevuta, dicevo, e una fiducia che fa vivere. In altre parole: una fiducia nel domani.

Sì, il domani vale la pena di oggi. Il domani vale la gioia di oggi. Il domani vale la speranza lucida e attiva di oggi. Le mille ragioni – sociali, economiche, finanziarie, ecologiche... – per considerare il futuro come una minaccia e, peggio ancora, come illeggibile, non possono abbattere questa certezza: colui che in Gesù Cristo si è immerso nel cuore della condizione umana, colui che ha lasciato la tomba vuota, colui che per primo ci ha fatto fiducia, ci dà appuntamento per domani. Lì ci precede e ci viene incontro.

Celebrare la nascita della chiesa protestante unita significa attestare una fiducia che fa vivere e che farà vivere domani. E quindi significa attestare una fiducia che impegna.

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Una fiducia che impegna. E con questo concludo.
Noi crediamo che Dio ama il mondo. Noi crediamo persino che Dio ne “va pazzo”! E lo ama in grande […] Ed è perché Dio ama il mondo e i suoi abitanti che vi si è fatto conoscere come un servo.

Al cuore dell’evangelo, come la Riforma l’ha ricevuto, sta questa scoperta: Dio viene non per essere servito, ma per servire. Per servirci. In Cristo, il Dio vivente si mette ai nostri piedi. L’altezza a cui Dio si trova è ormai a livello del suolo. Quando osiamo abbandonarci a questo servizio sconvolgente, sperimentiamo che tutta la nostra vita è nelle sue mani, che ciò che sembra umile diventa glorioso, quello che è debole diventa forte. Per amore, per niente, per grazia, ci libera da ogni falso valore, da qualsiasi potere, da qualsiasi fatalità. Soprattutto, ci libera dalla preoccupazione per noi stessi.
E il fatto di essere così liberati dalla preoccupazione per noi stessi ci impegna al servizio degli uomini. Per questo la chiesa protestante unita trova il proprio fine non in sé, ma in un rinnovamento della sua missione, del suo servizio. Per questo è stata creata. Per questa ragione siamo qui. La fiducia ricevuta da Dio, questa fiducia che fa vivere, è una fiducia che ci impegna.

Vogliamo dunque dimostrare che servire è bene. È bene servire, impegnandosi nella preghiera, che dilata la nostra vita alle dimensioni dell’amore di Dio per il mondo. È bene servire, impegnandosi nella diaconia, nel servizio sociale, che ci rende vulnerabili agli altri e a Dio. È bene servire, impegnandosi in una testimonianza esplicita, che sparge ai quattro venti i semi del regno di Dio. Queste sono le tre dimensioni del servizio per il quale Cristo ci libera e nel quale ci impegna. Ed è così che noi possiamo rendere contagiosa la fiducia che abbiamo ricevuto e che ci fa vivere.

Sì, noi l’attestiamo, c’è una felicità nel servire gli altri, nell’impegnarsi per loro. Eppure, tutto ci spinge a preoccuparci unicamente di noi stessi. Tutto, a partire dalla trasformazione del più piccolo evento intimo in spettacolo, o dall’ideologia del mercato quando diventa una religione onnipervasiva che fa delle mie voglie l’unico parametro valido. Ma noi crediamo – anzi, di più: noi sperimentiamo – che c’è una felicità nel servire più che nel servirsi. È il servizio che tesse con pazienza la tela della fiducia.
Dobbiamo ripeterlo prima di tutto a noi stessi: costruire la fiducia è l’opposto di un quietismo compiaciuto; è una pratica, è uno sforzo, è una lotta, spesso contro se stessi in primo luogo e poi contro la sfiducia che sempre si rinnova. Dobbiamo anche condividere questa convinzione e ricordarla a tutti coloro che hanno una responsabilità sociale, sia essa politica, nelle imprese, nei media, nel campo educativo, ecc. E noi possiamo, proprio per la fede di Gesù Cristo che ci è donata, non aver paura di impegnarci nel campo della responsabilità sociale.


 

*

La fiducia ricevuta – e che noi diciamo di ricevere da Dio per primo: questo è il cuore dell’evangelo –, la fiducia che ci fa vivere, è una fiducia che ci impegna. Rendere contagiosa questa fiducia è la nostra vocazione. Questo è il significato della creazione della chiesa unita. Questo è il cammino che si apre davanti a lei.

Per tale motivo, questo sabato mattina, in questo frattempo attraverso il quale la chiesa si trova sempre a dover ripassare, vorrei tranquillamente ma chiaramente affermare che questo cammino che si è aperto è un cammino di benedizione.

Il cammino aperto davanti a noi è un cammino di benedizione se... Se ci impegniamo in esso, appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sul soffio di Dio. Se abbandoniamo le nostre identità quando ci ostacolano, per ricevere l’identità che Dio ci dona. Se abbiamo il coraggio di essere attestatari dell’evangelo.

Di più, il cammino aperto davanti a noi è un cammino di benedizione perché... Perché se io non ho alcun’idea di cosa accadrà domani, so che lì Cristo ci accoglie e ci dà appuntamento. Perché ci accompagna, ovunque noi siamo, ogni giorno.
E il cammino aperto davanti a noi è un cammino di benedizione per… Per servire gli uomini. Per rendervi contagiosa la fiducia ricevuta da Dio. Per benedire, poiché a questo siamo chiamati.

Fratelli e sorelle, noi possiamo far salire a Dio l’espressione della nostra gratitudine quando volgiamo lo sguardo al passato, il passato nella sua lunga durata e il passato prossimo, che ci ha condotti sin qui. Ed ora, radicati nella fiducia ricevuta, nella fiducia che ci fa vivere, nella fiducia che ci impegna, siamo chiamati a percorrere questo cammino di benedizione.
Siamo ormai chiamati ad essere fedeli al futuro.

Pastore Laurent SCHLUMBERGER
presidente del consiglio nazionale
della chiesa protestante unita di Francia