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Matta el Meskin. L’unità della Chiesa nei suoi santi

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Matta el Meskin (1919-2006) – padre spirituale del monastero di San Macario in Egitto, da lui rianimato agli inizi degli anni settanta – è stato una delle figure più significative della Chiesa copta ortodossa e del suo rinnovamento nella seconda metà del XX secolo. Autore spirituale apprezzato in tutto il mondo, uomo di preghiera e di discernimento, è stato appassionato fautore dell’unità visibile dei cristiani.

Il suo discepolo e successore Anba + Epiphanius ne ha tratteggiato la figura in occasione di un Convegno a lui dedicato svoltosi a Bose a dieci anni dalla scomparsa. Riportiamo qui la parte dedicata all’apertura ecumenica di abuna Matta.


È difficile per coloro che non sono addentro alla storia contemporanea della Chiesa copta ortodossa comprendere quanto padre Matta el Meskin abbia inciso sull’opinione che i copti hanno verso le altre Chiese, sulla vita monastica e sugli studi patristici e biblici in Egitto. 

A metà del XX secolo, prese avvio in Egitto il movimento delle Scuole domenicali guidato dall’arcidiacono Habib Girgis, canonizzato dalla Chiesa copta nel 2013. L’eredità lasciataci da questo movimento consiste in una serie di scritti apologetici ed esegetici, provenienti essenzialmente da altre realtà ecclesiali. In quell’epoca, il lettore copto di lingua araba non aveva a disposizione studi patristici o esegetici di rilievo, eccezion fatta per alcune pubblicazioni tradotte da autori protestanti americani. Su questi scritti si era formata la gran parte della gerarchia ecclesiastica di quel periodo. Nel campo degli studi teologici, la Chiesa conosceva soltanto il testo dell’arciprete Mikha’il Mina, preside della scuola dei monaci in quel periodo, ‘Ilm al-lāhūt (‘Teologia’). Scritto nel 1938, seguiva il metodo teologico occidentale noto come teologia sistematica. 

Nel 1951, solo tre anni dopo aver consacrato la sua vita al monachesimo, padre Matta el Meskin pubblicò il suo primo libro “La vita di preghiera ortodossa” (parzialmente tradotto in L’esperienza di Dio nella preghiera). Il libro ebbe un’eco grandissima presso gli arabofoni dentro e fuori dall’Egitto, tanto che + George Khodr’, metropolita greco-ortodosso del Monte Libano, affermò che quella era la prima pubblicazione in epoca moderna di un autore copto alla cui scuola si mettevano gli antiochieni.

Questo libro non fu semplicemente un saggio sulle radici della spiritualità ortodossa, ma rappresentò una vera e propria finestra dalla quale i copti potevano vedere il loro passato spirituale, patristico e monastico. Ha segnato enormemente la vita di migliaia di copti, molti dei quali occuparono successivamente posti di responsabilità all’interno della Chiesa. Ha inciso anche su molti movimenti monastici fuori dall’Egitto, soprattutto negli ultimi anni, dopo essere stato tradotto in inglese, francese, italiano, tedesco e in altre lingue.

Probabilmente la cosa più importante che questo libro offre e che ha avuto questo grande influsso di cui non ci siamo resi conto se non dopo molti anni, è il florilegio di detti di Padri della Chiesa non copti, cioè appartenenti alla Chiesa universale, che erano sconosciuti alla Chiesa egiziana come san Gregorio Magno, san Giovanni Damasceno, san Serafino di Sarov... Ciò ha aperto ai copti una prospettiva del tutto nuova sulle altre Chiese sorelle. Dopo averle guardate per lunghi anni come ostili a noi, eccoci che ci ritroviamo a leggere le agiografie e le parole dei loro santi, imitandone la vita. Il libro è stato come un monito rivolto a noi perché imparassimo ad accettare l’altro, cosa che, a tutt’oggi, i dialoghi ecumenici non sono stati capaci di realizzare. 

Padre Matta el Meskin, all’epoca, comprese l’importanza di questo libro, tanto che nel 1968, nell’introduzione alla seconda edizione, commentando le parole del metropolita + George Khodr’ scriveva: “Dio ha scelto questo libro affinché contenga una parola di riconciliazione e sia un punto di incontro, non sul piano del dialogo intellettuale o della disputa teologica, ma su quello dell’unità della vita spirituale e delle manifestazioni della fede che, superando i limiti espressivi, giunge alla luce della verità vissuta di Dio”. 

Padre Matta el Meskin citava spesso nelle sue omelie nomi di santi occidentali che avevano influenzato la sua vita spirituale e monastica quali santa Teresa del Bambin Gesù e san Francesco d’Assisi. Questi scritti e queste parole hanno lasciato un segno profondo nella vita dei copti che hanno iniziato a guardare ai santi della Chiesa universale con uno sguardo diverso, immersi nella sensazione profonda dell’unità del Corpo di Cristo. La nostra presenza ora come copti in un monastero di una Chiesa sorella è uno dei frutti di questi scritti. Allo stesso modo, la presenza continua tutto l’anno di monaci e monache di chiese diverse nei monasteri della Chiesa copta è anch’essa frutto dello spirito d’amore e di comprensione reciproca che gli scritti di padre Matta el Meskin hanno seminato dentro di noi.

Mi ricordo che durante la mia prima visita in Italia, nel 2012, per prendere parte al convegno internazionale di studi copti organizzato dall’Associazione internazionale di studi copti, visitammo il Duomo di Milano. Una volta all’interno, incontrammo alcuni canonici responsabili del Duomo. Appena saputo che venivamo dall’Egitto, come prima cosa ci chiesero: “Conoscete padre Matta el Meskin?”. Siamo rimasti sorpresi, non ce l’aspettavamo. Il vescovo che guidava la delegazione egiziana mi ha indicato dicendo: “Questo è un suo figlio spirituale”. I canonici si sono avvicinati a me, mi hanno baciato e salutato con grande calore. Quando gli abbiamo chiesto come mai ci avessero fatto questa domanda, ci hanno risposto: “Siamo discepoli di padre Matta el Meskin. Leggiamo sovente i suoi libri”. Allora ho capito l’importanza dell’opera di traduzione dei suoi scritti in italiano portata avanti dal Monastero di Bose con grande stile ed eleganza, che ha dato la possibilità ai nostri fratelli della Chiesa di Roma di conoscere la Chiesa copta.

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