Giorni di grazia e di grande comunione

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SETTIMANA MONASTICA NEL SUD DELLA FRANCIA

Dal 6 al 10 giugno le sorelle Silvia, Sylvie, Mónica, Chiara e Marica hanno vissuto una settimana monastica nel sud della Francia.
L’intento era di far scoprire alle giovani in formazione, in modo esperienziale, la comunione spirituale ecumenica tra diverse realtà monastiche con le quali abbiamo sempre avuto relazioni fraterne. Il sud della Francia, grazie anche alla sua storia e alla sua bellezza, accoglie monasteri di diverse confessioni cristiane in un raggio ristretto.

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Sette giorni nel deserto

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VISITA AI MONASTERI DEL WADI-EL-NATRUN IN EGITTO

Il deserto di Scete (Wadi-el-Natrun) è la patria di molti padri del deserto, i cui Detti sono da sempre nutrimento per i monaci d’oriente e d’occidente, e di un padre del deserto contemporaneo a noi molto caro, Matta el Meskin, già superiore del monastero di san Macario; il suo successore dal 2013 al 2008, anba Epiphanius, aveva visitato la nostra comunità per due volte lasciandoci parole d’insegnamento molto preziose. È facile capire, dunque, perché questo viaggio sia così importante e perché noi fratelli che l’abbiamo compiuto (Marcello, Elia, Federico e Simone) siamo partiti da Bose non senza emozione. Benché ignari di copto e di arabo, siamo sin dal primo giorno a nostro agio per l’assistenza attenta e discreta di abuna Markos, che ha vissuto a Bose come fratello dal 2014 al 2017

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Con passi di pellegrini

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VISITA ALL' ALTIPIANO DEL TUR ‘ABDIN IN TURCHIA

Là dove i monti dell’Anatolia precipitano nella fertilissima piana mesopotamica, si fa spazio l’arido altipiano del Tur ‘Abdin, il “monte dei servi [del Signore]”. Costellato di monasteri e villaggi cristiani fin dal IV secolo, quando patriarchi e fedeli vi si rifugiarono cercando scampo dalle scorrerie che devastavano la Mesopotamia, divenne cuore pulsante della chiesa siro-occidentale. Un cuore però sempre trafitto, martoriato da stragi e persecuzioni, fino al grande massacro di inizio ‘900, il seyfo, come lo chiamano, che costrinse la maggior parte dei già pochi superstiti a fuggire. Un cuore che nonostante tutto non ha mai smesso di battere. “È come Gerusalemme – ci ha confidato il vescovo Filoxínos di Mardin – molti di noi se ne sono andati sbattendo la porta, con un misto di paura, tristezza e rabbia, ma la radice che li legava a questa terra era troppo forte”.

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