Dichiarazione Colombano: crescere nella comunione, collaborare nella missione

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Dopo l'approvazione da parte del Sinodo della Chiesa d'Inghilterra lo scorso febbraio, anche la Chiesa di Scozia ha formalmente approvato il testo della Dichiarazione Colombano nella sua ultima sessione del 25 maggio. Alle rispettive assise sinodali era presente per la prima volta nella storia la massima autorità dell'altra Chiesa. Così al sinodo della Chiesa d'Inghilterra a Canterbury era intervenuto l’allora moderatore della Chiesa di Scozia, il pastore Angus Morrison, mentre il Primate d’Inghilterra Justin Welby, è stato il primo arcivescovo di Canterbury a presenziare a un’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, riunita a Edimburgo.

La Dichiarazione prende il nome da Colombano, il monaco irlandese che evangelizzò le Isole britanniche prima di estendere la sua missione a tutta Europa, fino all'Italia.

In questo testo e nel rapporto redatto come preambolo dal Gruppo di studio congiunto che lo ha elaborato, la Chiesa di Scozia e la Chiesa d’Inghilterra si riconoscono reciprocamente come appartenenti alla Chiesa di Gesù Cristo, “Una, Santa, Universale e Apostolica” e individuano i passi necessari per un'ulteriore “crescita nella comunione” e un “partenariato nella missione”: sulla base dei rapporti già esistenti tra le due chiese, queste sono invitate ad accogliere nelle proprie comunità i membri dell’altra chiesa, a progredire verso la piena intercambiabilità dei ministeri – oggi possibile solo in misura ristretta – e ad approfondire il dialogo sulle modalità di esercizio del ministero dell'episkopé, oggi sostanzialmente diverse. I membri delle due chiese sono inoltre invitati a perseverare nella preghiera comune e gli uni per gli altri e ad esprimere una parola pubblica comune su temi etici, sociali e politici.
Due riflessioni in ambito ecumenico accompagnano questa decisione storica e le sue possibili ricadute. La prima è interna allo stesso ambito britannico: non si può tacere l’apprensione delle chiese protestanti più piccole presenti nel Regno Unito, che temono un'ulteriore marginalizzazione. In particolare, il primate della Chiesa episcopale scozzese – appartenente alla Comunione anglicana – David Chillingworth ha evidenziato alcuni aspetti della Dichiarazione che avrebbero ricadute non positive sulla sua chiesa, pur ufficialmente parte fino al 2012 del Gruppo di lavoro congiunto che ha redatto il testo.

In secondo luogo, in una più ampia prospettiva di ricerca dell'unità nella diversità tra i discepoli di Cristo, ci si può chiedere se questo storico passo ecumenico non costituisca al contempo un'ulteriore conferma di come le recenti scelte teologiche, ministeriali e pastorali della Chiesa d'Inghilterra – e della Comunione anglicana, in particolare l'ammissione delle donne all'episcopato – abbiano attenuato il suo storico preziosissimo ruolo di via media, ponte privilegiato tra il mondo della Riforma protestante da un lato e la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa dall'altro.

Il cammino compiuto dal movimento ecumenico in questi cent'anni dovrebbe rendere ogni chiesa maggiormente consapevole della propria responsabilità verso l'insieme dell'ecumene cristiano e del fatto che alcune scelte, pur compiute legittimamente e nel pieno rispetto delle proprie istanze canoniche, possono incidere sui rapporti fraterni e la ricerca di comunione con altre confessioni cristiane, innescando nuove occasioni di incomprensione o di tensione.